Un gruppo di medici ha realizzato un immenso studio sul bullismo, pubblicato poi sull’autorevole rivista scientifica Lancet. Nel dettaglio i ricercatori hanno preso in esame quanto accaduto a ragazzini di 15 anni in 71 diversi paesi, cercando di capire se vi fossero dei tratti in comuni fra le varie vittime e le azioni di bullismo. I dati prevengono precisamente dal Program for International Student Assessment datati nel periodo marzo-agosto 2018, tre anni fa, e negli stessi vengono riportate le frequenze di vittimizzazione o violenza, sia relazione ma anche verbale e fisica nei precedenti 12 mesi: i numeri sono stati analizzati in maniera separata e poi combinati in un punteggio totale.
La ricerca ha riguardato più di quattrocentomila studenti, per l’esattezza 421.437 e ne è emerso che quasi un terzo, esattamente 13.602, pari al 30,4% del totale, ha subito frequenti vittimizzazioni, anche se con variazioni significative fra i vari paesi presi in considerazione. Ad esempio in Corea del sud il dato era pari al 9.3 per cento, mentre nelle Filippine addirittura del 64.8 per cento. La violenza più frequente è risultata essere quella verbale, pari al 21.4 per cento, seguita da quella relazionale, ferma al 20.9 per cento, mentre la vittimizzazione fisica, quindi la violenza fisica vera e propria come ad esempio, calci, pugni e spintoni, è risultata essere presente nella misura del 15.2 per cento.
MAXI STUDIO SUL BULLISMO: VITTIME SONO I RAGAZZI PIU’ POVERI E MENO “BRAVI”
E’ inoltre emerso che le principali vittime di bullismo erano ragazzi di sesso maschile, e studenti con una ricchezza più bassa e anche con un livello accademico, quindi voti e performance scolastiche, inferiori rispetto ai propri coetanei. Risultati di questo tipo, specificano inoltre gli autori dello studio, sono emersi in tutti i sottotipi di vittimizzazione, ad eccezione di quella relazionale dove invece le diseguaglianze di genere sono risultate essere minori.
Secondo quanto sostengono gli studiosi, a livello globale la “Vittimizzazione del bullismo” è risultata essere “elevata, sebbene le dimensioni, il sottotipo predominante e la forza delle associazioni con i fattori di rischio variassero da paese a paese”. In conclusione gli autori spiegano che: “Le grandi differenze osservate tra i paesi richiedono ulteriori repliche e spiegazioni empiriche e suggeriscono la necessità e l’ampia possibilità di ridurre la vittimizzazione del bullismo e la sua iniquità in futuro”.