Ivano De Matteo è un regista che ha deciso di mettere gli spettatori in posizioni scomode, raccontando vicende che affondano tra le pieghe della cronaca per mostrare, di quelle pieghe, i lati meno confortevoli, per riflettere attraverso personaggi e situazioni difficili sulle dinamiche dei nostri tempi, del nostro mondo.
Per farlo, non ha intenzione di usare mezze misure o lavorare di fino, colpisce al ventre per arrivare al cervello: è l’intenzione anche del suo nuovo film Una figlia, in cui trova come spalla Stefano Accorsi, un attore a suo agio in progetti che flirtano col disagio.
In questo caso, la storia, sceneggiata da De Matteo con Valentina Ferlan e Ciro Noja, autore del romanzo di partenza, racconta di un padre (Accorsi) vedovo che vede nuovamente la vita crollargli addosso quando la figlia (Ginevra Francesconi) accoltella la compagna del padre (Thony). Da qui, il film racconta il percorso parallelo di una ragazza per redimersi agli occhi del mondo, ma soprattutto del padre, e di un uomo per accettare l’idea che l’amore possa passare dall’accettazione di un delitto.
Come si diceva, De Matteo non va per il sottile, non ha paura di calcare la mano sull’enfasi emotiva delle situazioni e delle reazioni degli attori: soprattutto nella prima mezz’ora, Una figlia ci va giù pesante con la musica, le urla, gli effetti emotivi costringendo gli attori a superare le righe e a trovarsi in imbarazzo, risultando di una grana davvero troppo grossa per poter essere digerita.
Poi, fortunatamente, quando si concentra sull’assenza, sui posti fisici ed emotivi lasciati vuoti, sia dalla vittima che dalla carnefice, il film acquista una sua dimensione, un suo equilibrio e anziché dimostrare – come spesso De Matteo ha fatto in virtù della radice civile del suo cinema – mostra, fa sentire grazie soprattutto alle interpretazioni femminili di Francesconi e Michela Cescon (l’avvocata).
Certo, nel finale gli scivoloni melodrammatici sono davvero a un passo, il nodo della maternità acquista un improbabile e stonato accento metafisico, ma la risoluzione porta Una figlia non a una soluzione semplicistica, ma a un altro problema, a una nuova domanda, costringendo ancora una volta il pubblico a non sedersi sugli allori.
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