Uno studio pubblicato ieri, giovedì 15 maggio 2025, sul prestigioso New England Journal of Medicine ha dimostrato per la prima volta in assoluto l’efficienza delle tecniche di editing genetico note con la sigla “CRISPR-Cas9” nel trattare una persona – che in questo caso è un bimbo di appena 9 mesi, ma ci torneremo – affetta da una grave e incurabile malattia genetica: a condurre quello che possiamo tranquillamente definire il primo studio sugli esseri umani per il trattamento con CRISPR è stata l’Università della Pennsylvania e la sua Perelman School of Medicine, con un team guidato dal dottor Kiran Musunuru; mentre, ad ora, concluso il ciclo di trattamenti, è appurato che il bimbo sta bene, pur non potendosi ancora definire completamente guarito.
Prima di arrivare allo studio e al caso del bimbo di 9 mesi, è bene fare un passetto indietro per ricordare cosa sono e come funzionano le tecniche di editing genetico con CRISPR: per dirla brevemente e con parole facilmente comprensibili – e in ogni caso qui trovate un approfondimento dettagliato che abbiamo pubblicato qualche mese fa –, l’obiettivo è quello di modificare in modo mirato il DNA del paziente, eliminando una porzione mutata all’origine di una malattia o di uno squilibrio, sostituendola con una copia esatta della sequenza ingegnerizzata per risolvere la mutazione; il tutto – stando agli studi attuali su CRISPR – senza effetti negativi o controindicazioni.
Il bambino trattato con CRISPR: il successo dell’editing genetico per trattare la sua rara carenza di CPS1
Tornando al bimbo trattato con CRISPR, fin da 48 ore dopo la nascita gli era stata diagnosticata una rara carenza di carbamilfosfato sintetasi 1 (o più semplicemente CPS1), che colpisce una persona ogni 1,3 milioni: si tratta di una malattia ereditaria che si verifica solamente nel caso in cui madre e padre presentino il gene mutato (appunto, CPS1), e la conseguenza è quella di rendere impossibile la disintossicazione dell’ammoniaca – normalmente espulsa in forma ormai innocua attraverso le urine – che si forma all’interno del fegato quando vengono scomposte altre proteine.
Accumulandosi all’interno del fegato, l’ammoniaca raggiunge presto gli organi vitali, e i pochissimi pazienti (quasi sempre bambini) che non vanno incontro alla morte nell’arco di pochi anni di vita si sviluppano con gravi deficit cognitivi e neurologici: nel caso del bimbo, ogni terapia classica si era rivelata pressoché inutile e i ricercatori, scoperto il caso, hanno offerto ai genitori di provare, in una sorta di ultima spiaggia, la tecnica CRISPR che avevano già messo a punto e testato con successo su alcuni modelli murini.
Nel caso del bambino, l’origine della mutazione era il gene Q335X ereditato dal padre, e la tecnica CRISPR – completamente personalizzabile in base al paziente – è andata proprio a tagliare e riscrivere quella porzione di DNA: complessivamente, il piccolo paziente, tra i 6 e i 9 mesi di vita, si è sottoposto alla terapia genica con CRISPR senza sviluppare alcun effetto collaterale grave ed oggi la sua condizione è largamente migliorata, al punto che può assumere proteine animali (proibite nei casi simili al suo, dato che aumentano l’accumulo di ammoniaca) e ha ridotto l’assunzione di farmaci; mentre, al contempo, sembra star acquisendo le capacità motorie prima impensabili nella sua condizione.