Cellule terroristiche dormienti, 729 iraniani rilasciati negli USA sotto Biden: allerta su infiltrazioni e cellule dormienti dopo gli attacchi a Teheran
Cellule terroristiche dormienti e sicurezza tornano alla ribalta nella cronaca americana dopo che nuovi dati diffusi da fonti interne alla dogana e protezione delle frontiere (CBP) hanno confermato il rilascio, durante l’amministrazione Biden, di 729 cittadini iraniani che erano stati arrestati al confine meridionale degli Stati Uniti, una cifra che rappresenta quasi la metà del totale dei 1.504 fermati tra il 2021 e il 2024, e che rafforza ora forti timori riguardo a possibili falle nei protocolli di sicurezza.
Si tratta di stranieri classificati come “di interesse speciale”, cioè provenienti da Paesi considerati ad alto rischio, come l’Iran, una qualifica che comporta normalmente controlli più rigidi da parte del Dipartimento della Sicurezza Interna (DHS), proprio per evitare infiltrazioni legate a gruppi terroristici o agenti sotto copertura.
Il flusso è aumentato in modo costante negli ultimi quattro anni, da 48 arresti nel 2021 si è passati a 797 nel solo 2024, con un numero di rilasci salito di pari passo da 12 a quasi 450, ma il dato però che più preoccupa non è solo la quantità ma il vuoto informativo: l’amministrazione Biden ha respinto le richieste di accesso ai dati, citando motivi di privacy e un presunto scarso interesse pubblico, lasciando però aperte molte domande sulla reale identità di queste persone e su quali controlli siano stati effettivamente effettuati.
Non è noto, ad esempio, quanti dei rilasciati fossero effettivamente legati a elenchi antiterrorismo, un’informazione che oggi, anche alla luce degli ultimi sviluppi, viene considerata essenziale da più analisti e funzionari di sicurezza; il punto, secondo diversi osservatori, è che nel mezzo di tensioni internazionali e di una crisi di fiducia sul sistema dei confini, episodi del genere rischiano di trasformarsi in gravi vulnerabilità per tutto il Paese.
Allerta cellule terroristiche dormienti negli USA dopo gli attacchi in Iran: possibili ritorsioni e rischio di cellule dormienti sul territorio
L’allarme sulle cellule terroristiche dormienti, provocato dalla notizia dell’alto numero di rilasci, già sensibile da sola, arriva in un momento estremamente delicato per gli Stati Uniti, poche ore dopo l’annuncio degli attacchi ordinati da Donald Trump contro tre installazioni nucleari in territorio iraniano, in quella che è stata ribattezzata “Operazione Martello di Mezzanotte”, una mossa che ha spinto il DHS a diffondere immediatamente un bollettino di sicurezza, parlando apertamente di un “ambiente di minaccia elevata” all’interno del Paese.
Nonostante il documento non faccia riferimento a pericoli specifici o imminenti, il contesto non lascia spazio ad interpretazioni: le tensioni con l’Iran sono altissime, le autorità di Teheran hanno già promesso ritorsioni, e le forze dell’ordine americane sono in allerta per il rischio concreto di attentati o azioni isolate organizzate da cellule dormienti o soggetti radicalizzati già presenti sul suolo nazionale.
Le preoccupazioni espresse dai vertici dell’intelligence non sono ipotetiche poiché negli ultimi anni il governo statunitense ha sventato diversi complotti con matrice iraniana, tra cui quello che prevedeva l’uccisione di esponenti politici americani critici verso il regime e se prima la minaccia sembrava provenire da agenti esterni, oggi lo scenario si complica perché molti dei soggetti entrati negli USA, ed anche se sotto controllo iniziale, sono stati poi rilasciati senza un monitoraggio costante.
Chris Swecker, ex vicedirettore dell’FBI, ha definito la situazione un “fallimento operativo” che avrebbe privato il Paese di un’occasione fondamentale per raccogliere informazioni, verificare identità, mappare contatti; ora, invece, “non sappiamo dove siano quei mille iraniani e chissà quanti altri” ha dichiarato a Fox News, ribadendo che la politica delle frontiere aperte ha di fatto indebolito la capacità degli Stati Uniti di prevenire minacce in un momento in cui ogni segnale conta e ogni omissione può trasformarsi in pericolo concreto.
Cellule terroristiche dormienti, confini e politica: il caso iraniano diventa uno scontro aperto tra sicurezza interna e strategia migratoria
Il caso degli iraniani rilasciati non è solo una questione di numeri o di sicurezza operativa riguardo il le cellule terroristiche dormienti, ma sta diventando a tutti gli effetti un nuovo fronte politico che oppone due visioni diametralmente opposte della gestione dei confini e dell’immigrazione: da una parte quella dell’amministrazione Biden, accusata di eccessiva apertura e di scarso rigore nei controlli, dall’altra quella filo-Trump, che proprio sulla linea dura e sulla chiusura selettiva dei flussi ha costruito la sua politica estera e di sicurezza.
Le statistiche pubblicate in questi giorni – e mai ufficialmente smentite – danno adito le critiche e rafforzano l’idea che il sistema attuale non sia in grado di garantire un livello adeguato di protezione, soprattutto quando si tratta di ingressi provenienti da Paesi sensibili come l’Iran; il bollettino rilasciato dal DHS dopo gli attacchi nella Republica Islamica menziona esplicitamente il rischio che gruppi stranieri sfruttino le maglie larghe del sistema per pianificare attentati o azioni di disturbo sul territorio statunitense, ed è proprio questo il timore che più preoccupa i reparti di sicurezza.
Il problema, dicono in molti, non è solo chi entra ma chi riesce a restare senza controllo e in questo senso, la gestione del confine meridionale si conferma il punto più vulnerabile del sistema americano e in un contesto in cui le minacce cambiano rapidamente e le conseguenze possono manifestarsi anche a distanza di mesi, non è più sostenibile affidarsi solo alla fiducia o alla discrezionalità operativa.