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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » Economia USA » USA vs CINA/ “Stop alle terre rare, Pechino tiene in ostaggio Trump e svela tutti i suoi errori”

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USA vs CINA/ “Stop alle terre rare, Pechino tiene in ostaggio Trump e svela tutti i suoi errori”

Int. Giuliano Noci
Pubblicato 6 Giugno 2025
Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Ansa)

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump (Ansa)

Xi blocca le terre rare, di cui ha il monopolio. Trump e l'Occidente vorrebbero un’alternativa alla Cina ma ci vuole tempo. Il tycoon sta fallendo

Trump e Xi Jinping si sono telefonati e hanno concordato altri colloqui per cercare di chiudere la guerra dei dazi. La decisione dei cinesi di cambiare il sistema dell’export delle terre rare (che controllano per il 92% e che ha fatto seguito a quella di Trump di aumentare le tariffe sulle importazioni provenienti dalla Cina) sta allarmando l’economia mondiale. Senza alcune fondamentali materie prime, di fatto ora bloccate dalle autorità di Pechino, molti settori non possono continuare a produrre.


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Il problema, spiega Giuliano Noci, prorettore del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano, è che al momento per le terre rare non c’è alternativa che rivolgersi proprio ai cinesi. A lungo andare l’Occidente dovrà costruirsi altri canali di approvvigionamento per non rimanere succube di Pechino, ma dovrà fare i conti con una realtà difficile da digerire: l’estrazione di certe risorse, infatti, è estremamente inquinante.


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Le aziende di mezzo mondo, americane ma anche europee, sono allarmate per la stretta sulla fornitura delle terre rare da parte dei cinesi, usata da Pechino come ritorsione ai dazi imposti da Trump sulle merci cinesi. Quanto pesano le decisioni di Xi Jinping?

Le aziende sono giustamente allarmate, per loro è un tema cruciale, in relazione al quale si gioca il funzionamento delle catene di fornitura. Piaccia o non piaccia, stiamo parlando di componenti fondamentali per semiconduttori, batterie e tutta una serie di sistemi fondamentali per la vita industriale e sociale del mondo. Di questi materiali non possiamo fare a meno. Il punto è che il 92% della raffinazione proviene da un singolo Paese, la Cina. Di per sé un elemento critico, indipendentemente da quale sia il Paese che detiene questa posizione dominante. Sta di fatto, inoltre, che Pechino sia nel mezzo di un conflitto commerciale con gli USA: una situazione critica che rappresenta il vero motivo per cui Trump è fortemente innervosito.


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Il presidente americano dice che i cinesi non hanno rispettato gli accordi di Ginevra sulla sospensione dei dazi: si aspettava che togliessero più facilmente i limiti all’esportazione di questi componenti. Colpa di Xi Jinping?

I cinesi stanno gestendo negozialmente la partita: non mollano la presa, vogliono vedere cosa fa Trump. Entrambe le parti accetteranno un vero confronto, soprattutto i cinesi, solo se riusciranno a intravedere uno sbocco positivo. Nel frattempo le pressioni delle aziende sono molto forti, perché la realtà è molto diversa dai tweet di Trump. A Ginevra gli americani hanno dovuto cedere perché gli scaffali negli USA si stavano svuotando. E anche adesso mi risulta che la merce manchi. Senza certi materiali non si possono produrre le auto e molti altri componenti, e Trump è ostaggio di questa situazione.

Per gli statunitensi e gli occidentali in generale ci sono delle alternative percorribili?

Le terre rare, i materiali critici, in realtà sono abbastanza disponibili, ma estrarli è terribilmente inquinante. In questo momento, ma anche allargando l’orizzonte di qualche anno, non c’è alternativa alla Cina. Questo è il tema di fondo.

Al di là dei dazi e di un eventuale accordo per toglierli, cosa cambierà dopo questa crisi?

Come ho scritto nel mio libro Disordine (Il Sole 24Ore, 2025), non è possibile tornare indietro dalla globalizzazione, a meno che si vada verso la Terza guerra mondiale. Rappresenta il presupposto di accesso a mercati globali ed è indispensabile per le aziende in giro per il mondo, che sono tarate per questo, mentre con i muri sovranisti non starebbero in piedi. La globalizzazione, tuttavia, cambierà e diventerà multipolare, cioè non sarà esattamente libera. Ci saranno meccanismi di regolazione tra aree geopolitiche diverse, nel contesto dei quali ci sarà una sorta di libero scambio. L’Arabia Saudita, gli Stati Uniti, l’Europa, la Cina, l’India, tutti dovranno prendere coscienza che le regole del gioco sono cambiate.

Queste regole come modificheranno il modo di agire?

Richiedono di gestire la variabile rischio e la continuità delle catene di fornitura. È evidente che nessun pasto è gratis: estrarre terre rare e metalli critici e raffinarli inquina moltissimo. Ma queste componenti sono fondamentali, bisognerà prenderne atto. A meno che non si voglia rimanere nelle mani della Cina, una scelta non plausibile, proprio in un’ottica di gestione del rischio.

Costruire un’alternativa ai cinesi non è facile neanche volendolo. L’Occidente ci riuscirà?

Quello di oggi è un vantaggio comparato che si è costruita la Cina in questi vent’anni: mentre noi guardavamo da altre parti, i cinesi si sono accaparrati le terre rare.

Ora Cina e USA dovranno trattare. Trump e Xi Jinping si sono sentiti al telefono. I cinesi, però, hanno il coltello dalla parte del manico: il presidente USA dovrà rivedere la sua strategia per riavere le terre rare?

Credo che Trump abbia già perso la faccia e stia creando danni irreversibili per gli Stati Uniti, l’Occidente e il mondo intero: la realtà è più forte dei suoi obiettivi. C’è il tema, ad esempio, dell’inflazione negli Stati Uniti, che non torna indietro, anzi, crescerà in misura molto significativa. La manifattura non tornerà negli USA, perché non ci sono maestranze: l’America è in piena occupazione e le persone che hanno eletto Trump non sono più impiegabili, perché non hanno competenze. Gli americani avranno pure un sacco di nemici: le scorte di grano sono ai massimi negli Stati Uniti perché i Paesi del mondo, per ritorsione, non stanno comprando mais e cereali americani. Gli imprenditori locali (anche Musk) stanno scaricando Trump. La faccia l’ha persa e la perderà sempre più. Non ha chance.

In questo quadro l’economia americana dove sta andando?

C’è un tema rilevante ed è quello della reputazione e della sostenibilità del debito pubblico, oltre che quello della valuta: il dollaro ha perso il 9%, non è più stabile come una volta. Gli USA devono interrogarsi sui danni causati da Trump alla loro economia e non solo: stiamo ancora parlando del più importante mercato al mondo, anche se ha perso rilevanza. Gli Stati Uniti quarant’anni fa potevano sostenere certe posizioni, adesso c’è tutta una parte di mondo, tranne l’Europa che non tocca palla, che non la pensa come gli americani, che quindi non possono più dettare le regole. Trump non accetta che gli Stati Uniti abbiano un ruolo diverso, ancora molto importante, ma non più da padroni del mondo. Un dato inconfutabile, non prenderne atto è molto pericoloso.

(Paolo Rossetti)

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Tags: Donald TrumpElon MuskXi Jinping

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