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Home » Esteri » USA vs IRAN/ “Perché la guerra di Trump e Israele è fuori dalle regole del diritto internazionale”

  • Esteri
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USA vs IRAN/ “Perché la guerra di Trump e Israele è fuori dalle regole del diritto internazionale”

La guerra preventiva di Israele contro l’Iran e l’attacco Usa sono illegali e rappresentano un nuovo colpo alla credibilità dell’Occidente

Int. Pasquale De Sena
Pubblicato 23 Giugno 2025 - Aggiornato alle ore 06:40
Trump, Iran

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Israele e Stati Uniti hanno scatenato una guerra preventiva contro l’Iran in assenza di una minaccia nucleare concreta e presente. Un’azione contraria alle regole del diritto internazionale, spiega al Sussidiario Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e già presidente della SIDI. “Se ammettessimo la possibilità di difendersi con le armi dinanzi a un pericolo astratto, come in questo caso, dovremmo ritenere lecito anche l’attacco armato russo all’Ucraina”. La reazione armata da parte dell’iran, invece, per le ragioni specularmente opposte, è legittima, afferma il giurista.


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Stiamo assistendo a una situazione nella quale l’Occidente euroatlantico ha totalmente assorbito la logica del doppio standard prodotta da trent’anni di “New World Order”, l’ordine mondiale neoliberale, e non vede più la differenza tra verità e menzogna politica, aggressore e aggredito. Ma soprattutto, di questo doppio standard censura le contraddizioni e gli effetti paradossali e distruttivi. “L’attacco statunitense – continua De Sena – è un colpo inferto non solo all’Iran, ma alla credibilità dell’Occidente e alla sua civiltà giuridica”.


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Nella notte di domenica gli Stati Uniti hanno attaccato i siti nucleari iraniani. Come definirebbe l’operazione americana?

L’azione militare statunitense costituisce una violazione grave del divieto dell’uso della forza armata nei rapporti internazionali, dal momento che gli Stati Uniti non hanno subìto alcun attacco dall’Iran. Si tratta di un attacco armato, sferrato a titolo di complicità nell’azione di Israele – illecita anch’essa – e volta, per di più, alla distruzione di infrastrutture che non costituiscono obiettivi militari dal punto di vista del diritto umanitario.


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Quali potrebbero essere le possibili implicazioni dell’iniziativa americana?

Sul piano giuridico, un attacco di questa portata rende lecita una reazione armata da parte dell’Iran.

In quali modalità, secondo lei?

Stante il divario delle forze in campo e la lontananza geografica degli USA, è ipotizzabile che tale reazione non avverrà in forme uguali e contrarie – come sta avvenendo per Israele –, ma tramite azioni volte a colpire basi militari statunitensi che si trovano nel territorio di Stati terzi, o navi e basi navali.

Vuol dire che la guerra è destinata ad allargarsi.

Speriamo che queste azioni non si traducano in attentati idonei a provocare morti fra i cittadini di quegli Stati. E, ancor di più, auguriamoci che non vi siano attentati terroristici veri e propri, perché questa sembra una conseguenza probabile.

Diamo uno sguardo alle reazioni che ci sono state nella comunità internazionale all’intervento americano.

Il Consiglio di Sicurezza deve ancora riunirsi, ma due Stati che ne fanno parte, Cina e Russia, hanno già apertamente condannato l’intervento. La presidente della Commissione europea von der Leyen, nella breve nota diramata stamane (ieri, nda) sui social, non ha espresso alcuna condanna. Si tratta di un atteggiamento criticabile.

Per quale ragione?

Perlomeno per due motivi. Sul piano politico, la scelta di von der Leyen mina significativamente la credibilità dell’atteggiamento intransigente assunto nei confronti della Russia per l’aggressione all’Ucraina, visto il chiaro doppio standard di cui è espressione.

E l’altro motivo?

Sul piano giuridico, contribuisce ad indebolire il divieto consuetudinario dell’uso della forza. Nella misura in cui una sua chiara violazione non viene contestata a chi l’ha effettuata, viene indebolito un cardine dell’ordinamento internazionale post seconda guerra mondiale. Tecnicamente, si contribuisce a un possibile processo di caduta in desuetudine della norma, perlomeno nella sua attuale configurazione.

Abbiamo visto Cina, Russia e UE. E gli altri Stati?

Si può presumere che gran parte degli Stati dell’Asia centro-meridionale, dell’America latina, dei Paesi arabi e africani condannino l’intervento statunitense, com’è già avvenuto con l’attacco israeliano.

Con quali effetti politici?

Il risultato sarebbe quello di una sorta di isolazionismo euro-statunitense non particolarmente positivo.

Andiamo all’attacco di Israele all’Iran cominciato nella notte del 13 giugno. Fonti ufficiali dell’IDF lo hanno definito “attacco preventivo storico per eliminare questa minaccia esistenziale contro lo Stato di Israele”. Cosa dice il diritto internazionale? 

La legittima difesa preventiva non è permessa dal diritto internazionale, né in concreto – dinanzi, cioè, a un pericolo imminente –, né dinanzi a un pericolo astratto o, per meglio dire, erroneamente presunto, come in questo caso. Infatti, a stare alle ultime dichiarazioni rese dal direttore dell’IAEA alla CNN, la preparazione di un ordigno nucleare da parte dell’Iran non sarebbe alle viste.

Ma perché un’azione di difesa, appunto, “preventiva” è illegittima? 

Perché l’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite, di cui Iran e Israele sono parti, ammette l’uso della forza armata solo in risposta a un attacco armato già sferrato; e tale norma corrisponde anche al diritto internazionale generale, nel senso che quest’ultimo non si è evoluto nel senso di una deroga più ampia rispetto al fondamentale divieto dell’uso della forza. C’è una considerazione ulteriore da fare a questo proposito.

Prego.

Se ammettessimo la possibilità di difendersi con le armi dinanzi a un pericolo astratto, come in questo caso, dovremmo ritenere lecito anche l’attacco armato russo all’Ucraina, perlomeno nella misura in cui questo è stato espressamente giustificato con la necessità della Russia di reagire alla prospettiva dell’adesione dell’Ucraina alla Nato, specificamente prescritta da una norma della Costituzione di quel Paese.

Qui occorre sottolineare due aspetti. Il primo è che il regime degli ayatollah si propone di cancellare quella che definisce “entità sionista”. Il secondo è che l’arricchimento dell’uranio attuato dall’Iran è ritenuto preliminare alla realizzazione dell’arma atomica. Cosa risponde?

Una cosa sono le affermazioni, altra le possibilità effettive e i comportamenti concreti: l’Iran non ha la benché minima possibilità di “cancellare” Israele. Primo, perché non ne ha la capacità militare, dato che quest’ultimo dispone, probabilmente, dell’arma atomica. Secondo, perché sarebbe immediatamente attaccato – e probabilmente distrutto – dagli Stati Uniti. Ciò accadrebbe anche nel momento in cui l’Iran si procurasse una bomba nucleare e dovesse usarla: un minuto dopo sarebbe esposto a una devastante rappresaglia americana. A Teheran lo sanno benissimo, perciò le loro intemerate contro Israele sono essenzialmente propagandistiche.

Gli esperti ritengono che l’arricchimento dell’uranio oltre il 60% sia un chiaro indizio della volontà di Teheran di costruire l’arma nucleare. Nessun reattore civile usa combustibile così arricchito e arrivare al 90% richiede un lavoro nettamente inferiore a quello già realizzato. Come mai l’IAEA non ha approvato all’unanimità la relazione sull’ultima ispezione dei siti iraniani, sempre renitente ai controlli e scarsamente collaborativo ?

Certamente il comportamento iraniano non è in linea con gli obblighi derivanti dal Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), a stare a quanto emerge dall’ultimo rapporto IAEA. Ma di qui a ritenere che ci sia l’intenzione di pervenire alla fabbricazione di una bomba al fine di usarla contro Israele, ce ne corre. Beninteso: essendo l’Iran parte del TNP, esso è obbligato a usi esclusivamente civili del nucleare; dunque, costruire ordigni nucleari costituirebbe una violazione del Trattato. Ma, come ho appena detto, escludo che ciò sarebbe fatto nella prospettiva di distruggere Israele.

E con quale finalità avverrebbe, invece?

Semmai nella prospettiva di dissuadere qualsiasi attacco israeliano, dunque in una prospettiva difensiva. Ammesso e non concesso che effettivamente gli iraniani stessero procedendo in questa direzione, mi pare poi che la reazione israeliana sia la più plastica dimostrazione del fatto che armarsi a fini difensivi alimenta escalation che finiscono per generare null’altro che guerre.

Che cosa bisogna fare?

Il problema vero è lavorare per ricreare fiducia, non per accrescere diffidenza.

In sintesi: TNP, Israele e Iran, come stanno le cose?

Come ho appena detto, l’Iran è parte del TNP, Israele no; e Israele, probabilmente, possiede l’atomica. Ma neppure se fosse parte del TNP Israele sarebbe titolato a reagire con la forza alle violazioni del Trattato, commesse, in ipotesi, dall’Iran. Figuriamoci non essendone parte!

Eppure “l’Iran non deve avere l’atomica” è un assunto politico consolidato in Occidente. Lo ripetono tutti.

Giuridicamente non ha alcun valore. Anzi esso rappresenta un disvalore, nella misura in cui esprime la chiara propensione, da parte dell’Occidente euroatlantico, a usare doppi standard. Va detto che la maggior parte degli Stati non europei – con alcune eccezioni fra cui Argentina e India – si sono apertamente schierati contro l’intervento israeliano, dunque contro la posizione espressa dal G7, che ha sostanzialmente ratificato l’intervento israeliano, incongruamente definendolo difensivo.

Come commenta quanto ha dichiarato lo storico israeliano Benny Morris al Corriere della Sera? Il possesso di armi nucleari da parte di Israele è legittimo “Perché noi siamo una società democratica occidentale e loro sono un regime fanatico messianico islamico”. 

Si tratta di affermazioni che si commentano ampiamente da sole. Sono però istruttive, perché dimostrano che la guerra all’Iran riscuote consenso diffuso in Israele e perché, nella sua brutalità, Morris dice il vero quando osserva che Netanyahu non fa altro che quello che, da anni – senza un’idea o uno straccio di strategia in testa –, vorrebbero fare USA ed europei con l’Iran. Lo dimostra la recente dichiarazione di Merz sul “lavoro sporco” che Israele starebbe facendo.

Quanto accaduto a Gaza dopo il 7 Ottobre riguarda in qualche modo anche la guerra tra Israele e Iran?

Direi che nella strategia di liquidazione della questione palestinese manu militari, e in completo disprezzo per il principio di autodeterminazione, l’attacco all’Iran si inserisce piuttosto bene. Non vi è nessuna prova che l’operazione terroristica del 7 Ottobre sia stata condotta sotto il controllo e la direzione iraniana, e credo che l’idea di arrivare a uno showdown con l’Iran fosse già parte dei piani israeliani da anni.

Rispetto a questo piano, allora, cos’hanno rappresentato il 7 Ottobre e gli sviluppi drammatici che sono ancora in corso?

Ne sono stati, per così dire, cause occasionali. Aggiungerei che in quella strategia si colloca perfettamente l’affermazione dell’egemonia israeliana in tutta l’area medio-orientale, in cui l’Iran ha finora costituito un pericoloso concorrente.

(Federico Ferraù)

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Tags: Donald TrumpUrsula Von Der Leyen

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