La storia dell’Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale (USAID), per come il mondo l’ha conosciuta, è giunta al capitolo finale. Dal 15 giugno i programmi di assistenza all’estero, guidati dagli Stati Uniti, sono passati sotto la gestione del Dipartimento di Stato e del segretario Marco Rubio.
L’amministrazione Trump prevede di ritirare tutto il personale impiegato nella cooperazione allo sviluppo oltreoceano entro il prossimo 30 settembre. La comunicazione è stata inviata anche alle rappresentanze diplomatiche statunitensi.
L’indiscrezione, pubblicata da The Guardian, segue e completa il congelamento dei fondi USAID avvenuto lo scorso 20 gennaio. Inizialmente si era parlato di una “revisione” dei programmi dell’agenzia, oggi lo scenario appare molto diverso.
In un Paese come la Colombia, questa decisione ostacola non solo il lavoro quotidiano delle ONG, ma anche i tentativi di sanare le ferite lasciate dalla guerra civile. Nel solo 2024 gli Stati Uniti hanno speso circa 400 milioni di dollari in aiuti al Paese. Metà di questi fondi veniva veicolata da USAID.
Dal 2001 il totale dei fondi erogati ammonta a 3,9 miliardi di dollari, facendo della Colombia lo Stato dell’America Latina maggiormente interessato al sostegno finanziario americano. Oggi il tessuto sociale del Paese dipende in gran parte dagli aiuti della cooperazione internazionale.
Fino a poco tempo fa “il 70% di questo sostegno veniva dagli Stati Uniti” spiega Simone Ferrari, ricercatore all’Università degli Studi di Milano che del conflitto colombiano studia le memorie.
La guerra civile colombiana è stato uno dei conflitti più violenti degli ultimi decenni nel continente sudamericano. In circa 50 anni ha provocato più di 450mila morti, quasi 122mila desaparecidos e più di 7 milioni gli sfollati.
Nel 2016 l’allora presidente Juan Manuel Santos riuscì a firmare un accordo di pace con i combattenti delle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia), il principale gruppo rivoluzionario di ispirazione marxista-leninista. Una pacificazione non perfetta ma significativa, che valse a Santos il Premio Nobel per la pace.
Rimasero fuori dagli accordi di pace alcuni gruppi minoritari di guerriglieri di estrema sinistra e le organizzazioni paramilitari di estrema destra che sono tuttora attivi nel Paese.
L’attuale governo, guidato dal Presidente socialista Gustavo Petro, sta perseguendo l’obiettivo della “Paz Total”. L’idea della pacificazione definitiva del Paese appare “da un lato utopica, ma porta con sé la volontà di trasformare le zone rurali della Colombia non solo risolvendo i conflitti, ma dando alternative che passano dai processi migratori, dall’eguaglianza di genere e dalla tutela dell’ambiente”, afferma Ferrari. Con le decisioni della nuova amministrazione americana “tutti questi aspetti verranno inevitabilmente intaccati”.
Le conseguenze dei tagli alla cooperazione sugli accordi del 2016 sono già in atto. “Nel contesto degli accordi di pace – spiega Ferrari – USAID appoggiava agenzie come quella per la restituzione delle terre, sostenendo il processo di sostituzione delle coltivazioni illecite. Nelle zone rurali della Colombia molti coltivano la pianta della coca.
Uno degli accordi prevedeva che queste persone smettessero di coltivare coca in cambio del riconoscimento di quelle terre come loro. Per fare questo c’è bisogno di strumenti scientifici e di conoscenze cartografiche del territorio che gli Stati Uniti fornivano e che ora non stanno più garantendo”.
Nel 2017 venne istituita la Jurisdicción Especial para la Paz (JEP), un tribunale speciale per accertare la verità sui crimini commessi durante il conflitto armato. Secondo quanto riportato dal New York Times, in questo caso specifico il supporto americano copriva circa il “10% dei fondi esteri per il funzionamento della corte”.
Non è in corso solo una riduzione del sostegno economico. Tra le forme di aiuto statunitense rientravano anche “apporti scientifici, tecnici, tecnologici del know-how generale che alcune agenzie, legate a USAID, fornivano dagli Stati Uniti”, aiuti importanti – afferma Ferrari – soprattutto “per accertare la verità giudiziaria, processare i responsabili e offrire i meccanismi di giustizia transizionale”.
Il congelamento di circa 3,5 milioni destinati al tribunale rischia di avere ripercussioni anche nel nostro Paese. In queste settimane sono emersi nuovi elementi sulla morte, avvenuta il 15 luglio 2020, di Mario Paciolla, cooperante italiano membro della missione ONU in Colombia.
La famiglia non ha mai creduto all’ipotesi del suicidio prospettata dalle autorità colombiane. Da quanto ricostruito da un’inchiesta di Fanpage, sembra che il cooperante si sentisse in pericolo dopo essere venuto in contatto con informazioni su crimini irrisolti commessi durante il conflitto armato. La riduzione dei fondi della JEP e il conseguente rallentamento delle indagini “non agevolerà la ricostruzione della verità e della giustizia nel caso Paciolla”.
Oltre alle ripercussioni sulle organizzazioni che lavorano sui processi di pace, la mancanza di sostegno americano ha già iniziato a farsi sentire per “centinaia di organizzazioni internazionali che lavorano con i mezzi di comunicazione, con i migranti e per la difesa dei diritti delle donne.
Quelle organizzazioni in cui l’apporto di USAID era il 10 o il 20% magari riusciranno a sopravvivere, quelle invece in cui era il 60 o il 70% (e sono tante) hanno già iniziato a licenziare personale e ridotto le spese al minimo. Si trovavano in una situazione di crisi già in atto”.
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