Colombia-gate, Massimo D'Alema a 100minuti su La7: "Sono caduto in un agguato, forse è stato ordito dai servizi segreti". Le dichiarazioni dell'ex premier
Il Colombia-gate è un caso chiuso per Massimo D’Alema, ma non per 100minuti, il programma di inchiesta di Corrado Formigli e Alberto Nerazzini in onda su La7, che nella prima puntata ha trattato il delicato tema della corsa alle armi, dedicandosi anche alla questione della vendita di armi alla Colombia, finito al centro di una vicenda giudiziaria che si è chiusa con un’archiviazione. Ma per Nerazzini era importante mostrare la “totale assenza” di etica in “un grande leader di sinistra” che viene “ingolosito dal business delle armi“.
Ne ha parlato in un’intervista di presentazione della nuova stagione del programma, con Formigli che ha evidenziato come “tutti questi politici idealisti” anziché presiedere Ong e associazioni umanitarie sono “pronti a cercare di favorire affari multimilionari dove al centro ci sono i soldi più che gli ideali“.
LA RICHIESTA DI INTERVISTA RIFIUTATA
Prima di approcciarlo, 100minuti gli ha chiesto un’intervista via mail, come spiegato dall’inviato Danilo Lupo nel servizio andato in onda. Ma D’Alema ha rifiutato, motivandolo “dall’indagine per la corruzione della procura di Napoli” che in quel momento era ancora in corso. Era stata depositata la richiesta di archiviazione, ma il giudice non si era ancora espresso. “Mi pare che sarebbe davvero fuori luogo che in questa fase io concedessi interviste sull’argomento“, aveva replicato.
Eppure, qualcosa l’aveva comunque detta, spiegando che “molte delle cose che sono state scritte o dette sull’argomento sono false. Compresa la famosa intercettazione telefonica che fu certamente manipolata“. Dunque, D’Alema riteneva che l’inchiesta giornalistica, “certamente scrupolosa, si muove in un campo minato. Saprà lei come districarsi. Io, purtroppo, come comprenderà, non posso partecipare“.
PRIMA IL SILENZIO…
Ma Danilo Lupo non si è fermato, perché ciò su cui voleva focalizzarsi era il fatto, non il presunto reato, e il giudizio politico. Ma quando si è presentato da D’Alema, non ha ricevuto – almeno inizialmente – alcuna spiegazione. “Lei è stato il ragazzo di Berlinguer, quello che predicava pace e disarmo, e oggi?“, lo ha incalzato l’inviato.
Tre anni fa, quando il Colombia-gate esplose, D’Alema rilasciò due interviste, una al Corriere e l’altra a Repubblica, spiegando in entrambe che il suo interessamento era a favore dell’Italia e che da quell’attività non avrebbe percepito un euro, parole che contrastano però con l’intercettazione che per D’Alema è stata manipolata, in cui dice “siamo convinti che alla fine riceveremo tutti noi 80 milioni di euro“.
LA SPIEGAZIONE DI MASSIMO D’ALEMA
Il programma è tornato a contattare D’Alema, che ha risposto in via informale ad alcune domande. “Il mio fu un tentativo lobbistico, ma lecito, da cui io non avrei guadagnato nulla, perché tutti i compensi sarebbero andati agli studi legali“. Per quanto riguarda le dichiarazioni intercettate, ha precisato che “hanno un valore relativo“, in quanto “servivano a convincere il mio interlocutore. Non ero a conoscenza del suo curriculum e credo di essere caduto in un agguato, probabilmente ordito dai servizi segreti“.
D’Alema ha aggiunto di essere stato “ingenuo“, essendosi “affidato a una comitiva improbabile” e per non aver capito che “io ero un obiettivo accessorio, ma dietro c’era un disegno per colpire i vertici delle partecipate e sostituirli“. Infine, sulle questioni etiche connesse al business delle armi, ha tagliato corto: “Questi oggetti li produciamo, dobbiamo anche venderli“.
