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Home » Chiesa » VERSO IL CONCLAVE/ 1. “Esito imprevedibile, è sfavorito il ‘partito cinese’ e c’è uno scisma da evitare”

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VERSO IL CONCLAVE/ 1. “Esito imprevedibile, è sfavorito il ‘partito cinese’ e c’è uno scisma da evitare”

Papa Francesco ha subito critiche non solo dai conservatori ma anche dai progressisti, tanto da paventare scismi. Ora ci vuole qualcuno che li eviti

Int. Massimo Introvigne
Pubblicato 24 Aprile 2025
Cardinali nella Basilica di San Pietro in occasione di un concistoro, nel 2016 (Ansa)

Cardinali nella Basilica di San Pietro in occasione di un concistoro, nel 2016 (Ansa)

Le aperture sui divorziati, la benedizione alle coppie omosessuali o, per contro, le rigide posizioni sull’aborto e il rifiuto delle donne prete. Francesco è stato criticato da destra e da sinistra, tanto da paventare possibili scismi silenziosi di parti della Chiesa che, pur non allontanandosi formalmente dal primato di Roma, seguano loro strade riformatrici.


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Dopo il suo pontificato, osserva Massimo Introvigne, sociologo fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, sul tavolo restano alcune questioni dottrinali, ma anche i problemi relativi alla presenza della Chiesa in Paesi come la Cina. Un quadro che fa pensare che il nuovo papa sarà un uomo chiamato a conciliare, per quanto possibile, la presenza di progressisti e conservatori.


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Per avere una idea più precisa, bisognerà aspettare i discorsi dei cardinali nelle congregazioni preparatorie, anche se già emerge qualche nome: il filippino Luis Antonio Tagle, l’ungherese Peter Erdo, l’italiano Pietro Parolin, ora segretario di Stato.

Che Chiesa lascia Francesco dopo il suo pontificato? Quali sono le questioni ancora aperte sulle quali il prossimo papa dovrà intervenire?

Papa Francesco, contrariamente a quello che si legge quasi dappertutto, ha avuto due opposizioni, da destra e da sinistra. La prima, più che le riforme, ha criticato lo stile: dal “Buonasera” come saluto iniziale al poncho indossato negli ultimi giorni. Certo, le critiche hanno riguardato anche alcune aperture dottrinali, come nell’Amoris Laetitia sui divorziati e risposati e, per quanto poi ridimensionata, la benedizione delle coppie omosessuali.


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A sinistra, invece, chi sono i detrattori di Francesco?

Penso a molti vescovi tedeschi e ai partecipanti al sinodo tedesco, ma anche, in Italia, agli interventi del sociologo Marco Marzano, che condividono lo stile di Francesco, ma poi sottolineano che le donne non possono diventare preti, che i sacerdoti non si sposano.

Da questo ambito arriva una dura polemica sull’aborto, i matrimoni omosessuali, che, a differenza di quello che fanno gli anglicani, non vengono celebrati in chiesa. Tutte riforme che questa opposizione di sinistra auspicava e che non sono arrivate.

Considerando questi giudizi negativi, come si colloca allora il pontificato di Bergoglio?

L’aggettivo che definisce meglio il suo pontificato è “riformista”, né conservatore né rivoluzionario. E il destino dei riformisti è di suscitare speranze nelle ali più progressiste e radicali, che poi non si realizzano. Speranze che aleggiano come una promessa a sinistra e una minaccia per la destra, creando disagio e dissenso in molti.

Il punto è far volare il pallone delle speranze senza metterlo a terra in modo brusco, il che provocherebbe la reazione di sinistra (penso allo scisma tedesco, tanto paventato anche da Francesco stesso), ma, nello stesso tempo, senza farlo volare troppo in alto, il che potrebbe determinare uno scisma africano, della parte più conservatrice.

Qual è allora l’identikit del papa giusto per gestire questa situazione?

Tutte le previsioni sui conclavi sono fatte per essere smentite. L’unico conclave facile in questo secolo è stato quello di Ratzinger. Si può immaginare che si cerchi una figura di riconciliazione e di compromesso, non una figura di rottura come un super-progressista o un super-conservatore.

Scisma tedesco, scisma africano: quanto è grande la possibilità che qualcuno lasci la Chiesa cattolica per fondarne un’altra riformata?

Lo scisma, nel senso di fondare un’altra Chiesa con un altro nome, in Africa piuttosto che in Germania, non ci sarà. Alla fine i fedeli seguono il marchio, l’abbiamo visto tante volte: la stragrande maggioranza resterebbe legata alla Chiesa attuale.

Però c’è la possibilità di uno scisma silenzioso, come abbiamo visto già all’opera in Germania e, per altro verso, in certe diocesi americane che, di fatto, tengono in non cale le istruzioni romane e il Magistero del Papa.

Al di là delle questioni dottrinali, ci sono situazioni locali di difficile gestione nella Chiesa mondiale, alle quali occorrerà prestare particolare attenzione?

Ce ne sono molte. La prima è la Cina, dove c’è un accordo che, secondo certa stampa, procede bene, anche se sappiamo che non è così. Si susseguono casi di vescovi nominati unilateralmente nonostante l’accordo tra Stato e Chiesa cattolica; basta ricordare quello del vescovo di Shanghai, la diocesi più importante della Cina: la Santa Sede ha riferito di esserne venuta a conoscenza dai giornali.

Francesco, poi, lasciava passare qualche mese per far capire che non era contento e regolarizzava tutto. La narrazione per cui tutto va bene è propaganda, gestita dalla comunità di Sant’Egidio e dai suoi corifei su Avvenire e altri giornali. La Cina è un problema e, benché la comunità di Sant’Egidio, nell’accordo, abbia messo più bocca di Parolin, questo è un peso sulla strada della candidatura di Parolin stesso a papa, anche se resta come soluzione di compromesso.

Secondo quali dinamiche si svilupperà il conclave?

Questo è il conclave più difficile da prevedere degli ultimi cento anni, non solo perché non c’è un candidato forte come furono Pacelli, Montini, Ratzinger, ma perché il collegio cardinalizio non è tanto bergogliano. Molti dei cardinali di Paesi in via di sviluppo nominati da Francesco sono tra quelli che si sono opposti, ad esempio, alla benedizione delle coppie omosessuali.

Bergoglio, comunque, ha fatto scelte che hanno fatto discutere quanto a cardinali. Quanto influiranno?

Bergoglio ha nominato cardinale il vescovo di Como, ma non quello di Milano; il vescovo di Agrigento, ma non di Palermo. Poi è andato a nominare vescovi dalla Svezia a Timor Est, lasciando privi di porpora Los Angeles e Parigi.

Un atteggiamento guardato anche con simpatia, ma che ha un costo: i vescovi delle grandi diocesi, che sono anche quelle che, dal punto di vista finanziario, contribuiscono a far funzionare la macchina della Chiesa, si conoscono fra loro, mentre oggi un cardinale arriva a Roma senza conoscere l’80 per cento dei componenti del collegio cardinalizio.

Come si arriverà allora a decidere il pontefice?

Può succedere letteralmente di tutto. Saranno decisive le congregazioni preparatorie, perché qui i cardinali si conosceranno e pronunceranno discorsi che potranno risultare più o meno convincenti. Qui potrebbero emergere personaggi carismatici e capaci di pronunciare dei discorsi entusiasmanti. Ribadisco, però, che tutto è imprevedibile: le previsioni valgono come quelle di una chiromante.

Chi potrebbe mettersi in evidenza nella fase preparatoria?

Per averlo conosciuto, mi viene subito in mente il cardinale Tagle, filippino con un genitore cinese. Per inquadrarlo non basta ricordare la sua frequentazione della scuola di Bologna, di orientamento progressista. Una volta gli chiesi delle polemiche sull’interpretazione ratzingeriana o bolognese del Concilio, se si può parlare di un giudizio di continuità o rottura.

Mi rispose che se ne era occupato da studente, ma che, nelle Filippine, dove allora si trovava, il problema era la presenza della più alta percentuale mondiale di minorenni che si prostituiscono e si drogano: insomma, i problemi con cui si confrontava erano tutt’altri.

I conservatori, ammesso che sia corretto usare queste categorie, su chi potrebbero puntare?

Se emergesse un blocco conservatore, il che, in senso classico, rimane comunque difficile, il candidato non sarebbe Robert Sarah, troppo conservatore e segnalatosi per gesti escludenti: è arrivato alle congregazioni accompagnato dal cardinale Burke, ritenuto una sorta di pecora nera per le sue posizioni tradizionaliste. Invece, potrebbe essere il cardinale Erdo, arcivescovo di Budapest, conservatore moderato.

Secondo l’articolo 33 della Costituzione apostolica Romano Pontifici eligendo, i cardinali elettori non devono essere più di 120. Ma ora sono 135. Un ostacolo difficile da superare?

Il Papa può quello che vuole: se ne ha nominati 135, è questo che conta. Vale il diritto canonico, ma sopra c’è la volontà del Papa. Poi, naturalmente, ci sarà il tradizionalista di turno che dirà che il conclave non è valido. Ma questo è folclore: una volta accettato dalla Chiesa, il Papa è il Papa.

(Paolo Rossetti)

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Tags: ConclavePapa Francesco

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