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Home » Chiesa » VERSO IL CONCLAVE/ 2. Quando Lercaro si ritirò e votò per Montini-Paolo VI

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VERSO IL CONCLAVE/ 2. Quando Lercaro si ritirò e votò per Montini-Paolo VI

Il conclave del 1963 per molti aspetti parla alla nostra contemporaneità. Di due forti antagonisti, uno rinunciò. C'era di mezzo il Concilio

Nicola Berti
Pubblicato 24 Aprile 2025 - Aggiornato alle ore 06:37
Papa Paolo VI

Papa Paolo VI (ANSA)

Un conclave per molti versi ancora contemporaneo come quello del 1963 si aprì in una cornice di estrema complessità, dentro la Chiesa e fuori. Il pontificato appena compiutisi era stato breve ma dirompente. Giovanni XXIII aveva indetto il Concilio ma era riuscito soltanto ad aprirlo. Da Roma aveva assistito alla costruzione del muro di Berlino, e pochi giorni dopo l’inaugurazione del Vaticano II il suo ruolo era stato cruciale per la de-escalation nucleare attorno a Cuba, semi-occupata dall’Urss nel cortile di casa degli Usa.


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La guerra fredda (prosecuzione del secondo conflitto mondiale) era al culmine. La Santa Sede eurocentrica era nel cuore di un’Europa ferita a morte da due guerre suicide, che i Papi avevano tentato invano di contrastare .

In quel giugno 1963 nella Cappella Sistina entrano da annunciati tre giovani cardinali italiani, tutti arcivescovi metropoliti. Il genovese Giuseppe Siri – enfant prodige della Chiesa di Pio XII – ha partecipato al conclave del 1958, addirittura in odore di papabilità nonostante i soli 52 anni. In quell’occasione ha sostenuto il 77enne patriarca di Venezia Angelo Roncalli , convinto – come quasi tutti – di incoronare un pontefice di transizione. Ma la spinta decisiva al Soglio viene dai cardinali francesi (Roncalli era stato nunzio a Parigi), quelli che da anni sostengono le visioni aperte dell’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini.


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Al prelato lombardo – pro-segretario di Stato fino al 1955 – la porta del conclave e di un possibile pontificato è stata sbarrata personalmente da Papa Pacelli, attraverso un plateale esilio senza porpora. Il passo verrà subito apertamente contraddetto da Papa Giovanni, quando porrà il nome di Montini in cima alla lista dei nuovi cardinali che – alla vigilia del Concilio – allargheranno e globalizzeranno il Sacro Collegio, depotenziando il ruolo egemone dei capi-dicastero curiali.

Un terzo big player in quel giugno 1963 è l’arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro : figura di riferimento del fronte progressista. Genovese come Siri, soldato nella Grande Guerra come Roncalli, di grande levatura culturale, Lercaro ha trovato a Ravenna e poi a Bologna l’ humus per dare compimento pastorale a una sensibilità nettamente sociale (a Genova aveva assistito anche gli ultimi fra gli ultimi, i lebbrosi di un lazzaretto).


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Il suo è un profilo che molti già allora ci sono “profetico” (non così lontano da quello del futuro Papa Francesco ). Una leadership carismatica gli ha meritato voti di stima già nel 1958 e ne fa cinque anni dopo un solido papabile.

Se Siri sostiene che il Concilio “ha aperto troppe finestre che continueranno a sbattere se non vengono subito richiuse”, Lercaro vede nel Vaticano II una via maestra senza remore di ritorno, per affermare in terra, nel ventesimo secolo dell’era cristiana, tutte le promesse evangeliche. È lui l’avversario designato dei cardinali curiali, allora tutti conservatori e ancora potenti attorno ad Alfredo Ottaviani, l’inflessibile custode dottrinale al Sant’Uffizio.

Un’ottantina di cardinali (molti di più dei 51 che avevano eletto Papa Giovanni XXIII) sono dunque chiamati a scegliere il nuovo capo di una Chiesa polarizzata dentro un mondo dilaniato (il cardinale ungherese Joszef Mindszenty , perseguitato dal comunismo sovietico, non può partecipare né al conclave 1958 né a quello del 1963).

È in questo contesto che si fa strada la candidatura di Montini: diplomatico di guerra a Roma e pastore nella Milano della ricostruzione; italiano molto apprezzato in Europa, USA e Sudamerica; privo di dubbi sul fatto che la Chiesa si deve aprire alla contemporaneità, ma dotato di un realismo robusto e di una proverbiale attitudine alla mediazione (chi ha poi rimproverato a Paolo VI uno stile “amletico” ha sempre voluto dimenticare che da Papa neoeletto si è ritrovato a condurre a destinazione il Concilio con continui colpi di freno e sterzo, quando si era preparato per una vita a guidare la Chiesa con accelerazioni graduali).

Gli storici hanno fissato i passaggi decisivi di un conclave breve ma drammatico. Secondo ricostruzioni concordanti, Siri – allora presidente della Cei – rinuncia nell’immediato al confronto diretto con Montini: forse intenzionato a intervenire in una successiva fase di stallo, non improbabile. I conservatori anti-conciliari schierano prima Ildebrando Antoniutti , nunzio nella Spagna franchista; poi il giurista Francesco Roberti, espressione della curia romana più intransigente.

Montini e Lercaro affrontano invece senza esitazioni la prova segreta dell’urna. Subito 30 schede al primo e 20 al secondo. Al terzo scrutinio la attesa svolta ma non scontata: con l’appoggio aritmetico di Lercaro e dei suoi supporter, Montini balza nei dintorni dei 50 voti, solo una manciata in meno del quorum.

Ma la “sacra lotta” (il copyright è del vaticanista Giancarlo Zizola) prosegue senza sbocco per due ballottaggi e Montini sembra addirittura intenzionato a ritirare la sua candidatura. A sbloccare l’impasse è un episodio rimasto nella millenaria annalistica dei conclavi.

È il cardinale Gustavo Testa – bergamasco come Papa Giovanni e come lui diplomatico “fra i leoni”, anche a Gerusalemme alla nascita dello Stato di Israele – a violare il silenzio canonico del conclave, appellandosi ai conservatori perché cessino il muro contro muro. Viene ricoperto da proteste e contumelie, ma al sesto scrutinio Montini ottiene 56 voti: due soli più del quorum.

Il conclave si scioglie in un clima talmente teso che – come hanno riferito altre testimonianze – il nuovo Papa rompe il protocollo e decide di restare a pranzo in mezzo ai confratelli che lo hanno appena eletto. Si siede a tavola nello stesso posto dei due giorni di recinto chiuso e lascia che a intonare l’Angelus sia un cardinale anziano.

Siri rimane cardinale nella sua Genova, dove morirà nel 1989 da arcivescovo emerito. Ma prima parteciperà da “front runner” a entrambi i conclavi del 1978. Nel primo contribuisce attivamente all’elezione di Albino Luciani , come Papa di compromesso e decantazione post-conciliare.

Al suo quarto e imprevisto conclave Siri deve invece scendere in campo personalmente. Per l’intera prima giornata duella contro “Sua Efficienza” Giovanni Benelli , primo collaboratore di Paolo VI in Curia, da poco inviato a Firenze. I due italiani finiscono per elidersi a vicenda e il giorno dopo viene eletto Karol Wojtyła , primo di tre pontefici non italiani.

Lercaro stesso, nel 1963, torna alla sua cattedra bolognese ma per dividersi con la Basilica di San Pietro, dove Paolo VI lo ha subito nominato fra i quattro moderatori di un Concilio da reinventare con successo. Tuttavia già nel 1968 la sua parabola ecclesiale – primaria e luminosa senza alcuna ombra di dubbio – conosce un brusco arresto. A Capodanno di un anno poi topico l’arcivescovo di Bologna officia personalmente la prima Giornata Mondiale della Pace: un frutto genuino del Concilio appena concluso.

Lercaro pronuncia un’omelia impegnativa, abbozzatagli da don Giuseppe Dossetti , ex “professorino” costituente, co-fondatore della Dc e nume tutelare della sua storica sinistra (oggi “cattodem”) prima di divenire sacerdote e iniziare la “scuola di Bologna”, fra Chiesa e politica.

Il testo condanna duramente l’escalation militare statunitense in Vietnam, allora a una sua svolta critica. Tre mesi dopo dopo il presidente Lyndon Johnson deciderà di non ricandidarsi per la Casa Bianca, riconoscendo l’inconciliabilità di fondo fra i valori del progressismo democratico e ogni forma di bellicismo.

Ma nelle concitate settimane precedenti tocca al Papa sbrogliare una matassa improvvisamente ingarbugliata – su scala internazionale – dal pur limpido pacifismo di Lercaro. È così che a metà febbraio da un’ora all’altra il cardinale di Bologna annuncia le sue dimissioni: senza motivarle, salvo lasciar capire di aver risposto a una richiesta di Paolo VI.

C’è da credere che entrambi soffrano: forse il pontefice anche più del cardinale. Ma entrambi, come cinque anni prima, non mostrano dubbi nel comprendere quale sia il dovere, prima ancora che il potere di ciascuno in una Chiesa che ambedue ameranno ogni istante fino all’ultimo dei loro giorni.

 

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Tags: ConclavePapa Francesco

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