Il conclave non è un parlamento federale, tuttavia brilla per alcune assenze: mancano cardinali dell'Est Europa e dell'Asia centrale
La Chiesa cattolica ha conosciuto nella sua bimillenaria storia fasi molto complicate all’interno delle quali l’elezione pontificia diventava, oltre che l’adempimento richiesto dalla sua costituzione gerarchica, un messaggio rivolto a fedeli e non sul futuro dei suoi orientamenti, processi e poteri.
Ed è tuttavia vero che, complice la complessiva trasformazione del linguaggio collettivo e del sistema dei media, difficilmente si era assistito a una tale banalizzazione delle fasi di passaggio tra un pontificato e l’altro.
Ce lo conferma un qualsiasi motore di ricerca: accanto alla richiesta sul prossimo papa, le aggiunte più spesso fornite dagli utenti sono “papabili” e “totonomi”. È il lessico dei governi balneari, quando il singolo ministro era messo di lato anche solo un giro, e gli stremati titolisti della stampa – condannati all’afosa calura cittadina – avevano in riserva un occhiello sempreverde come “impazza il totonomi”.
Su questo aspetto, è bene non parlare troppo, e non solo per quel minimo di rispetto che impone a scelte così gravose di svolgersi con riserbo e ponderazione. La storia canonica, anche quella recente, semmai ci racconta numerosi casi in cui il più acclamato all’apertura dei lavori sia poi uscito dalla Cappella Sistina con un palmo di naso – fossero quelle, o meno, le sue intime aspettative personali.
I nomi che si fanno per il dopo-Francesco sono quelli di cardinali dal profilo tra loro spesso diverso, e tuttavia muniti di quel tale livello di riconoscimento, dentro e fuori la compagine ecclesiastica, che fa spontaneamente abbassare le bandierine del tifo, a vantaggio invece di una considerazione più rispettosa della Chiesa.
Non è un caso, del resto, che conclave etimologicamente indichi la riunione di “quelli chiusi a chiave” a confrontarsi, a deliberare, decidere e solo in ultimo comunicare la loro decisione. C’è incertezza sull’origine di tale dicitura, in particolar modo se vada davvero riferita all’azione di forza del popolo viterbese che nel XIII secolo costrinse (pena il non riaprire le porte) i cardinali a scegliere il successore di Pietro. Le scelte “cum clave” sono probabilmente più risalenti e altrettanto probabilmente, da quando la Chiesa si è avvicinata al suo profilo istituzionale e organizzativo storicamente accertato, certe decisioni sono state inevitabilmente frutto di lavorii, diatribe, commenti, tentate ingerenze. Né gli uni né le altre sono mai andati in vacanza. E non vanno facendolo oggi.
La riflessione che qui mette conto fare è forse d’altra natura. Per i giuristi è sempre significativo tornare, ad esempio, sui poteri del Cardinale decano e su quel delicato ruolo di continuità e andamento effettivo che è suo proprio nel diritto ecclesiale. I notisti, dai tempi delle cronache medievali, si sono intrattenuti sulle abitudini, anche private, del collegio cardinalizio. Fedeli e cittadini tutti, di là da questioni di culto, oggi sono psicologicamente portati a identificare il conclave con un’assemblea elettiva purchessia. Anzi, piuttosto ristretta e in grado di decidere chi guiderà alcuni miliardi di persone nel mondo.
La questione ci sembra ancor più complessa, perché il conclave non è vincolato a un indice a sé esterno di rappresentatività. Per decenni, se non secoli, si sono lamentate le provenienze in esso egemoni (è stato il turno dei tedeschi e degli italiani); per decenni, ancora, ci si è soffermati sulla necessità di aprirne la composizione concreta a vescovi espressivi di Chiese distanti e tuttavia vive, avvolte da quel carisma che nei tempi difficili ha consentito a martiri e a santi la professione di fede.
Razionalmente, oggi, le cose sono cambiate: il conclave ha una certa rappresentanza di cardinali dall’Estremo oriente, che in condizioni di assoluta minorità nei contesti locali arrivano coi crismi della novità, del vissuto pericoloso e di un popolo di fedeli assai coeso ed esiguo, sì, ma solo nei numeri.
Non solo: le passate ventate di nomine cardinalizie latinoamericane e nordamericane hanno dato forza e pienezza di numeri al “nuovo mondo”, che pure non è mai stato così ricco di sfumature o, peggio, contrasti. E troppo poco rappresentata ci sembra l’Europa orientale cattolica, quasi che nelle giravolte dei sistemi costituzionali il suo approdo ai meccanismi giuridici dell’Occidente dovesse consegnarla a farsi appendice di voci già ascoltate.
Rappresentatività o meno del conclave, allora, la cui composizione in nulla è territorialmente vincolata sul piano formale (non si tratta del parlamento di uno Stato federale), i giorni che precedono la fumata sono carichi per le strade di Roma di commenti, scherzi, entusiasmi, aspettative. La più bella e la più grande speriamo sia la prima a non venire disattesa da qui al futuro: restituire radicamento e appartenenza a tutte le membra che compongono il corpo mistico al quale il battezzato si vincola sulla sua strada di salvezza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.