L'export è stato importante nell'upgrade di Standard & Poor's sull'Italia e può continuare a crescere nonostante i dazi
La Premier italiana Giorgia Meloni incontrerà oggi il Presidente americano Donald Trump. Emanuele Orsini ha ricordato che gli imprenditori, non solo italiani, ma anche europei, “sono con lei e sono fiduciosi che la missione possa portare a un successo”. Il Presidente di Confindustria, durante la consegna dei Premi Leonardo 2025, ha anche detto che l’export italiano può raggiungere i 700 miliardi di euro rispetto agli attuali 626.
Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano, si tratta di un obiettivo raggiungibile, “nonostante lo scenario mondiale rabbuiato dal furore tariffario di Trump, dal momento che l’Italia ha un export estremamente diversificato sia in termini di prodotti che di destinazioni geografiche. In quest’ultimo senso basti pensare che la Penisola arabica è ormai più importante della Cina per le nostre esportazioni”.
Si può, quindi, essere ottimisti nonostante nelle ultime due settimane ci siano stati continui colpi di scena riguardanti i dazi americani?
Dobbiamo naturalmente augurarci che non scoppi una guerra commerciale di dimensioni tali da deprimere l’economia mondiale, ma se guardiamo a quello che è successo negli ultimi dieci anni non possiamo non essere fiduciosi. Escludendo gli autoveicoli, che rappresentano l’8% nel commercio mondiale, l’Italia è passata dal nono al quarto posto tra i Paesi esportatori a livello globale.
C’è stato qualche settore in particolare che ha reso possibile questo exploit?
L’agroalimentare ha superato ogni aspettativa, dato che ai tempi dell’Expo 2015 si sperava che l’export potesse raggiungere i 50 miliardi di euro nell’arco dei successivi dieci anni e siamo in realtà arrivati a quasi 70. Anche la farmaceutica è andata molto bene, come pure la cosmetica. La cantieristica navale è in crescita e la meccanica tiene. Abbiamo un export così diversificato in termini merceologici e geografici che è stato apprezzato anche da Standard & Poor’s nel report con cui è stato operato un upgrade del nostro rating che non si vedeva dal 2017.
Una promozione guadagnata grazie all’andamento dei conti pubblici…
Non solo. Standard & Poor’s ha riconosciuto i progressi intervenuti negli ultimi anni nella posizione creditoria netta sull’estero del nostro Paese, che, grazie anche all’andamento dell’export, ha raggiunto i 335 miliardi di euro, una cifra pari al 15,3% del Pil. Non so se è ben chiara la portata di questo dato: significa che, nonostante oltre 900 miliardi di titoli di stato italiani siano in mani estere, il nostro è un Paese creditore verso il resto del mondo. Altro che “spendacciona”, l’Italia è “frugale”, mentre la Francia è debitrice netta per 594 miliardi euro, la Spagna per 701 miliardi e gli Usa addirittura per ben 26,2 trilioni di dollari.
Questa posizione positiva può reggere l’urto dei dazi?<
Secondo Standard & Poor’s, è improbabile che il trend si rovesci anche qualora l’aumento dei dazi americani sulle merci europee dovesse erodere i surplus commerciali nei prossimi tre anni. Inoltre, l’agenzia di rating evidenzia il fatto che se vengono colpiti da dazi Paesi come la Cina, dove imprese europee nostre concorrenti, come quelle tedesche, hanno delocalizzato massicciamente, le nostre potranno esserne avvantaggiate, in particolare quelle della meccanica. Infine, ricorda che la domanda di beni costosi come auto di lusso e vini premium, che l’Italia esporta negli Usa, è meno sensibile ai cambiamenti di prezzo.
Vedendo questi giudizi e il rating complessivo, sembra che a penalizzarci sia il livello del debito pubblico in valore assoluto e in rapporto al Pil.
Più che altro a pesare sono i troppi interessi sul debito che paghiamo, effetto anche del giudizio delle agenzie di rating che è stato finora troppo severo, tanto che lo scorso ottobre il presidente della Repubblica Mattarella le aveva “sferzate” proprio perché non avevano notato una posizione netta sull’estero che la Banca d’Italia aveva detto essere arrivata a 225 miliardi di euro a giugno. Nel frattempo questo dato è ulteriormente migliorato e finalmente è arrivata la promozione di Standard & Poor’s. Ora c’è da sperare che, infranto questo tabù, e tornati al rating BBB+, si possa migliorare ancora.
Ritiene sia possibile?
Sì, mantenendo i conti pubblici sotto controllo, proseguendo sul cammino delle riforme e aumentando il potenziale di crescita del Paese. Del resto anche il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, ha detto di non essere rimasto stupito dall’upgrade di Standard & Poor’s e di ritenere che la valutazione del nostro Paese possa migliorare ancora. Gli va dato credito dal momento che è stato il primo a evidenziare l’esistenza di quella situazione patrimoniale netta sull’estero del nostro Paese che oggi scoprono tutti.
Cosa pensa, invece, di quanto ricordato da Confcommercio martedì, ovvero che i consumi degli italiani non sono ancora tornati ai livelli pre-2008?
Dal 2008 fino al 2014 è come se l’economia italiana avesse attraversato il deserto, senza acqua e senza cibo. Complice anche l’austerità, abbiamo perso, infatti, oltre 110 miliardi di euro di potere d’acquisto delle famiglie. Negli ultimi dieci anni, con la crescita realizzata, anche in termini di produttività, specie nel settore manifatturiero, siamo stati in grado di ricostituire quasi l’80% di quel potere d’acquisto. Ed è un miracolo, considerando anche che non abbiamo più la popolazione di una volta.
Detto questo, non vedo francamente la necessità di un confronto con un passato ormai remoto che non tornerà. E poi non dobbiamo dimenticare il fatto che i consumi oggi non sono più gli stessi del 2007, ci sono più servizi e meno beni di allora.
(Lorenzo Torrisi)
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