Non c’è dubbio sul fatto che la violenza domestica sia attualmente tra le notizie di cronaca che maggiormente riempiono stampa e Tv, lasciando una scia molto profonda anche sui molteplici siti del web, che ne rilanciano l’impatto negativo suscitando un enorme sgomento in tutti noi.
Nessuno vuole rassegnarsi al fatto che la famiglia, della cui crisi si è parlato a lungo per tanti anni, sia ora approdata ad un ulteriore step negativo: la violenza intra-familiare, che pur assumendo forme nuove e diverse, in buona sostanza rimane come un vero e proprio vulnus per l’intera società. Sociologi, psicologi, ma anche docenti e magistrati si interrogano continuamente sulle sue cause, nella segreta convinzione che, una volta individuata la causa, si possa estirparla e riconsegnare il mondo ad una nuova innocenza.
Eppure la violenza c’è sempre stata nella storia dell’umanità. Il tragico quadro delle guerre che dopo lunghi anni di pace, seguiti alla devastazione della seconda guerra mondiale, sono tornate ad assediare la vita di tutti noi non lascia molti margini ad un’attesa ingenua di tempi migliori. Dobbiamo fare i conti con il nostro tempo, cercare soluzioni per il nostro tempo, ben sapendo che non saranno soluzioni definitive. Ma non possiamo rinunciare a chiederci perché la violenza oggi tocchi così da vicino tanti giovani, trasformandoli da vittime in veri e propri protagonisti di atti di violenza nei confronti dei loro coetanei.
E da lì dobbiamo ripartire, dalla violenza subita in modo più o meno consapevole quando sono giovanissimi; una sorta di violenza che inizialmente non li tocca direttamente, ma a cui sono esposti continuamente nel clima di una vita di famiglia aggressivo, sistematicamente svalutante, che tocca soprattutto le loro madri, accusate di tutto e di più, perché non sono all’altezza delle aspettative dei loro compagni o mariti.
Si è perfino persa l’abitudine di distinguere tra mariti e compagni, tra legami intrecciati in modo consapevole davanti alla società o legami più occasionali, sorti fin dall’inizio all’insegna del dubbio che possano o meno durare. In un clima di micro-violenze, inizialmente solo verbali, fatte di giudizi ironici, dispregiativi, in un’aperta contraddizione tra richieste di servizio h24 e il mancato di riconoscimento di margini di autonomia decisionale. Sono nuove forme di schiavitù domestica, possessiva, vissuta con poca o nulla libertà di disporre non solo di risorse economiche ma anche della semplice, ed essenziale, gestione del proprio tempo.
A volte ci sono anche gesti di violenza fisica, ma non necessariamente e non sempre tali da richiedere l’intervento dei medici del Pronto soccorso. A volte basta un po’ di maquillage per mascherare pugni e schiaffi o apparenti cadute occasionali. Ma la violenza peggiore giunge sempre all’anima della vittima, fino a coinvolgerla in una spirale di bassa autostima, in cui sembra che non ci siano alternative possibili a una relazione tossica che inquina tutta la dinamica relazionale, isolando la persona e condannandola a vivere in un tunnel senza via d’uscita.
E i figli assistono a questa progressiva destrutturazione della propria madre, stupiti, addolorati, sempre più confusi, fino a dubitare del fatto che il padre possa avere ragione e che la madre sia davvero colpevole di quanto le viene sistematicamente rimproverato.
È il furto del figlio, che finisce col diventare la causa più profonda del dolore delle madri. Ed è questo il titolo del libro (Violenza domestica. Il furto del figlio e il dolore delle madri, Aracne, 2025) presentato ieri in Senato, a cui hanno collaborato la senatrice Paola Binetti, neuropsichiatra infantile, Marina Marconato, avvocato esperta di violenza familiare, Raffaele Focaroli, educatore e giudice popolare, Simona Petrozzi, una lunga esperienza nel campo della comunicazione e della web reputation, oltre che presidente di Terziario donna, grande rete di donne imprenditrici.
Gli interventi di Francesco Menditto, magistrato di lungo corso, e di Paolo Cianconi, psichiatra con una lunga esperienza a contatto di padri violenti, danno al libro una sua variegata e multidimensionale concretezza e profondità.
I dati diffusi da Save The Children sulla violenza assistita registrano che, negli ultimi 5 anni, circa 427mila minori abbiano vissuto in contesti familiari violenti, assistendo direttamente, nella metà dei casi, ai comportamenti maltrattanti da parte dei padri o di altri familiari nei confronti delle loro madri. La Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere, ratificata in Italia con la legge 77/2013, sancisce: “i bambini sono vittime di violenza domestica anche in quanto testimoni di violenze all’interno della famiglia”.
I traumi causati dall’esposizione alla violenza sono molto gravi e, troppo frequentemente, sottostimati. La violenza subita, anche da spettatori, incide profondamente sui minori anche nelle tappe successive del loro sviluppo e spesso ne fa dei soggetti potenzialmente violenti, come se il contagio a cui sono stati esposti creasse una sorta di assuefazione alla violenza. Di qui la necessità di separare il figlio dal genitore violento perché non si vadano strutturando comportamenti di coping, una sorta di coazione a ripetere, che può diventare molto difficile rimuovere.
In questi casi va sospesa la legge 54/2006, che introducendo il principio della bigenitorialità, prevede l’affido condiviso dei figli e stabilisce pertanto il diritto del minore, anche in caso di separazione dei genitori, a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore. Dopo 20 anni di applicazione della legge sorge la necessità di modificarla, perché, pur avendo molti aspetti positivi, pone una serie di interrogativi importanti quando il genitore è riconosciuto come un genitore violento.
Gli episodi di violenza in famiglia sono attualmente in crescita, come confermano non solo le cronache ma anche, e soprattutto, i dati ufficiali del ministero della Giustizia. Molte volte accade che il principio di bigenitorialità non sia quello più adatto a realizzare la migliore tutela del minore in tutte le situazioni. Introducendo l’obbligo di affidamento esclusivo al genitore vittima, lui stesso, di violenza, si assicura il benessere del minore. Far subire infatti al minore gli atteggiamenti del genitore violento vuol dire arrecare al minore un grave pregiudizio, in alcuni casi irreversibile.
Parlarne è necessario, discuterne ascoltando gli altri, compresi coloro che di queste situazioni fanno esperienza diretta, è doveroso, anche se non è facile, perché nessuno possiede risposte certe e esaustive. Tutti procediamo per prove ed errori, con la consapevolezza che sul piano educativo i risultati si vedono a grande distanza di tempo.
Gli errori rivelano la loro potenza disgregativa solo dopo molto tempo, per cui porvi riparo è spesso impossibile e non ci resta che chiederne perdono, a volte silenziosamente ma senza autoassolverci, perché sempre e comunque tutti avremmo potuto fare qualcosa di più. Ma i giovani vanno protetti, anche attraverso l’allontanamento dal genitore violento, per doloroso che ciò possa apparire e questa è una responsabilità che non può essere delegata.
Ovviamente l’allontanamento non basta: è condizione necessaria ma non sufficiente e richiede una lunga tessitura di autostima, di fiducia verso gli altri, di accoglienza incondizionata, di psicoterapia competente. Ricostruire ciò che è andato distrutto in anni di corrosione e di violenza non si può fare con un colpo di bacchetta magica, è una sorta di rigenerazione dei legami più intimi e profondi, che va di pari passo con un analogo lavoro di psicoterapia che anche la madre deve mettere in programma, perché non è detto che due persone ferite possano aiutarsi reciprocamente senza l’aiuto di una terza persona che restituisca ad ognuno ciò di cui ha più specificamente bisogno.
In qualche modo anche di questa fase rigeneratrice la società deve farsi almeno in parte responsabile, facilitando ad ognuno i mezzi opportuni per venirne fuori nel miglior modo possibile ed evitando la ricaduta di risposte violente che come una sorta di boomerang possono tornare a colpire ancora.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.