Ora che la polemica sembra affievolirsi, vorrei spostare per un attimo il punto di osservazione sulla vicenda del Manifesto di Ventotene. Un’impresa non facile in un Paese che sembra desiderare le contrapposizioni più di ogni altra cosa. Ma resta la speranza incrollabile che il dibattito e il confronto – anche tra pochi e soprattutto in momenti come questi – alla fine prevalgano.
Non è dunque inutile misurarsi con la forza delle idee e con la ricerca della verità. L’attacco fuori tempo della premier Meloni al Manifesto di Ventotene e ai padri del federalismo europeo può trasformarsi in un’occasione utile per riflettere su un periodo cruciale della nostra storia: la fine della Guerra fredda e la nascita dell’Europa così come la conosciamo oggi.
Non serve che qualcuno ci spieghi il vero pensiero di Altiero Spinelli. È stato lui stesso, nei 43 anni vissuti dopo la stesura del Manifesto, a chiarire il senso di quelle parole, usando tutti gli strumenti a sua disposizione. Grazie alla rete, in questi giorni sono riemerse molte interviste in cui Spinelli spiegava con grande efficacia cosa ritenesse ancora attuale e cosa, invece, fosse superato, illusorio o addirittura sbagliato.
La visione di questi interventi – pochi minuti da diffondere ovunque – avrebbe potuto chiudere la polemica (che ha portato persino a un pellegrinaggio nel luogo dove tutto ebbe inizio), evitando di riempire inutilmente notiziari e pagine di giornale. La storia politica di Altiero Spinelli è esemplare e ripercorrerla oggi aiuta a comprendere l’evoluzione della sinistra italiana. La sua vita rappresenta plasticamente le divisioni che ne hanno segnato il cammino, dagli inizi del Novecento fino ai giorni nostri.
Spinelli si iscrive al Partito comunista dopo l’assassinio di Matteotti, tradendo la fede socialista della sua famiglia. La sua erudizione e la padronanza di più lingue lo portano presto a diventare un brillante divulgatore del marxismo. Attira così l’attenzione sia dei vertici del partito sia del regime fascista, che lo arresta e lo condanna a 16 anni di carcere.
Durante il confino, ha frequenti confronti con intellettuali antifascisti e membri del suo stesso partito. Ma proprio in questo periodo si scontra con il Pci su temi fondamentali: Stalin e il suo metodo di governo, l’idea dello Stato e il nazionalismo. Divergenze profonde, che nel 1937 porteranno alla sua espulsione dal partito.
Nel pieno della Seconda guerra mondiale, Spinelli continua a combattere il fascismo, ma perde il sostegno dei suoi ex compagni. In questo clima matura la sua avversione per gli Stati nazionali e i nazionalismi, che considera la causa principale dei due conflitti mondiali. Sostiene così il superamento degli Stati in favore di una federazione europea, una visione in netto contrasto con la teoria marxista, che non prevedeva la sostituzione degli Stati nazionali con un’entità sovranazionale.
Da quel momento, Spinelli si trova ai margini della sinistra tradizionale. Addirittura, durante il confino, è costretto a mangiare separato dagli altri prigionieri. La sua determinazione e quella del piccolo gruppo di Ventotene lo rendono inviso ai vertici della sinistra italiana, portandolo a legarsi al Partito d’Azione. Occorreranno decenni prima che le loro strade si incrocino di nuovo.
Dopo la guerra, Spinelli diventa una figura chiave nel processo di integrazione europea. Amico di De Gasperi, contribuisce al dibattito con i padri fondatori dell’Unione. Dal 1970 al 1976 è Commissario europeo, un incarico che gli consente di incidere concretamente sul progetto europeo.
Come ricorda Ranieri sul Mattino di ieri: “La sua carica idealistica non viene mai meno, ma non gli impedisce di valutare con lucidità problemi e prospettive dell’integrazione”.
Quando nel 1976 accetta di candidarsi alle elezioni politiche come indipendente nelle liste del Pci, si chiude una lunga stagione di incomprensioni. È il periodo della svolta europeista dei comunisti italiani: quasi in contemporanea, l’intervista di Berlinguer sulla Nato segna la rottura definitiva con l’ortodossia del passato. Il Pci avvia la sua trasformazione in un partito socialista europeo e Spinelli ne diventa un interlocutore fondamentale, pur restando indipendente.
Non sarà un processo semplice: in quegli anni, il PCI vota contro quasi tutte le principali scelte dell’Unione, inclusa l’adesione al Sistema monetario europeo (Sme). Eppure, nel 1979 Spinelli torna in Europa come parlamentare europeo, eletto nelle liste del Pci, e vi rimarrà fino alla sua morte nel 1986. Diventa il punto di riferimento per il gruppo dirigente del Pci impegnato nelle relazioni internazionali (da Napolitano a Colajanni), contribuendo alla trasformazione del partito in una forza socialdemocratica.
Un percorso che si concluderà solo nel 2013, quando Matteo Renzi imporrà l’adesione del Pd al Partito socialista europeo. Questo fa di Spinelli uno dei padri storici del Pd? Sicuramente. Ed è proprio per questo che evocare, come ha fatto Meloni, il fantasma di un nostalgico ritorno al passato è un errore clamoroso. Da matita blu.
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