MINNEAPOLIS – Del Santo Padre appena eletto, Robert Francis Prevost, Leone XIV, so quel poco che adesso sappiamo tutti per averlo sentito dire in televisione e per le parole di un amico che l’ha conosciuto in terra di missione. Io il cardinal Prevost non l’ho mai incontrato e l’ho sentito parlare per la prima volta quest’oggi, quando ha salutato il mondo dopo la sua elezione.
Immagino si possano fare mille congetture rispetto alla scelta dei cardinali, ma mi colpisce molto il fatto che, in tempi come questi, in cui il mondo intero vive una crisi di rigetto nei confronti degli Stati Uniti (e gli Stati Uniti ne vivono una nei confronti del resto del mondo), Santa Romana Chiesa si rivolga all’altro lato dell’oceano per trovare il suo nuovo Pastore.
Dicono sia un uomo dalla fede forte e coraggiosa, un uomo capace di guidare, indirizzando con energia e certezza il cammino del popolo affidatogli. Così, l’altra cosa che non può non venire in mente (a tutti), è come la prenderà Trump, ovviamente al netto delle dichiarazioni ufficiali e del già manifestato senso di orgoglio, come se anche questo fosse merito suo. Come Trump prenderà questo Papa e come questo Papa prenderà Trump. Ma soprattutto mi affascina la prospettiva (con le sue promesse e i suoi punti interrogativi) per la Chiesa americana, una Chiesa tribolata da decenni tra conservatorismo e liberalismo, ma spaccata di netto dalla comparsa sulla scena di Donald Trump, il “grande divisore”.
Il primo segnale me lo darà il solito capogruppo di preghiera della cattedrale della città in cui vivo. Me lo darà con la sua T-shirt che recita: “Jesus is my savior, Trump is my president“, Gesù è il mio salvatore, Trump il mio presidente.
Vediamo se tra quelle righe riesce a infilarsi Leone XIV, vediamo se tra le pieghe della vita quotidiana e l’inimicizia che ci attanaglia il Papa americano riuscirà a seminare un’impossibile unità, quella che lui ha chiamato “Pace”.
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