La minoranza Pd non digerisce la linea Schlein e ha innescato un dibattito per mettersi di traverso. Ma questa volta Schlein tirerà dritto
È curioso – o forse nemmeno troppo – come la minoranza del Pd abbia sviluppato un talento innato per scegliere il momento peggiore possibile per sollevare questioni divisive. Una specie di istinto animale, ma al contrario: invece di fiutare il pericolo e unirsi al gruppo, appena avvertono la tranquillità di una situazione che può evolvere positivamente, si mettono subito a scavare la trincea nel proprio orticello.
Non sia mai che la segretaria del partito, forte di un risultato regionale finalmente positivo, provi davvero a scalare quella collina chiamata “premiership”! Per alcuni, l’importante è ricordare al mondo che “loro ci sono”, anche quando nessuno li stava cercando.
Proprio mentre la leader del Pd cerca e miracolosamente riesce, anche con il consenso di Bonaccini e di altri esponenti di spicco della minoranza come i lettiani Meloni e Ascani, a riposizionare il discorso pubblico su sanità, lavoro, salari, servizi, cioè su ciò che tocca la vita reale delle persone, ecco spuntare la solita pattuglia intramontabile degli ex democristiani, stavolta guidata da Delrio.
A quel punto, come in una liturgia antica, si decide che l’agenda politica è un’altra, e riguarda tutti gli argomenti su cui la sinistra può solo dividersi: Israele, Ucraina, referendum sulla giustizia. Temi sacrosanti, per carità, su cui è lecito il dibattito, ma agitati con la consueta grazia da elefante e soprattutto con un tempismo che definire sospetto è un atto di generosità.
Perché lo fanno? Perché questa sindrome da “non sia mai che si parli tutti insieme della stessa cosa”? Perché questo impulso a rimettere al centro loro, anche quando la discussione nazionale è altrove e il partito avrebbe tutto l’interesse a farsi vedere unito?
La risposta è semplice: autoconservazione. La più antica delle arti. Non è una questione di linea politica ma di ruolo. Di piccole rendite, piccole visibilità, piccole tribune da cui dire al Paese: “io non sono d’accordo”. Un eterno dissenso brandito come distintivo d’onore, o forse come pass per restare rilevanti. In fondo, come recitava quella celebre pubblicità: “su De Rica non si può”.
E così, mentre Elly Schlein prova finalmente a imprimere una direzione chiara, loro tirano il freno con l’espressione di chi crede di salvare la democrazia interna. Quando in realtà stanno preservando una piccola posizione. Perché ogni volta che il partito si compatta, loro svaniscono dallo schermo; ogni volta che il partito tenta di cambiare passo, loro si riposizionano come garanti dell’ortodossia perduta, del “Pd com’era nella testa dei fondatori”, del ruolo dei moderati con pochi voti ma tanto peso politico, del partito di un tempo in cui la manovra di palazzo poteva avere più importanza del faticoso lavoro tra gli elettori, riconquistando fiducia in settori a cui da tempo la sinistra non parlava più.
La verità è che questa minoranza non è mossa da un’ansia di rivincita dopo la disfatta di tre anni fa: è mossa da un’ansia di esistere. È proprio quando una leadership forte comincia a emergere che il tempo a disposizione diventa essenziale. Come quelle noiose partite di calcio che si accendono negli ultimi 15 minuti.
Così, mentre il Paese chiede risposte concrete, c’è chi spinge il partito verso la sua eterna condizione di incertezza: litigare su tutto, possibilmente senza decidere nulla. Ma stavolta il vento è cambiato. La base se n’è accorta, gli elettori pure, e la leadership sembra avere finalmente imparato a non farsi dettare l’agenda, senza per questo scegliere la strada della scomunica.
Il 14 dicembre l’assemblea del Pd sancirà la candidatura della Schlein a leader del centrosinistra, da conquistare attraverso primarie di coalizione o lasciando decidere gli elettori assegnando il compito al partito con più voti. La ventilata ipotesi di nuova legge elettorale promossa da Fratelli d’Italia non può cambiare un granché le cose, a questo punto.
E allora la domanda vera è: cosa farà questa frangia interna? Perché una cosa è certa: il Pd, oggi, per la prima volta dopo molto tempo, ha una strada davanti. E chi continua a remare di lato rischia, semplicemente, di essere lasciato sulla riva a discutere con se stesso.
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