Situato a 124 anni luce dalla Terra, in un angolo lontano della costellazione del Leone, un esopianeta chiamato K2-18 b sta sconvolgendo il sapere scientifico. Utilizzando il telescopio spaziale James Webb, gli scienziati hanno scoperto due gas nella sua atmosfera: il dimetilsolfuro (DMS) e il dimetilditoluene (DMDS), entrambi prodotti interamente sulla Terra da organismi viventi, come il fitoplancton marino.
Le concentrazioni rilevate sono migliaia di volte superiori a quelle riscontrate sul nostro pianeta, un indizio che – se confermato – aprirebbe le porte alla ricerca delle prime prove di vita extraterrestre: “Non lo definiremmo un miracolo”, ha ammonito Nikku Madhusudhan, astrofisico di Cambridge e autore principale dello studio, “ma è come trovare un pezzo di DNA nel deserto: non puoi vedere l’organismo, ma sai che c’è”.
La scoperta sul pianeta alieno arriva dopo decenni di delusioni e falsi allarmi, dall’illusione ottica di Schiaparelli sui “canali” di Marte alle grandi promesse su Venere. K2-18 b, ma in questo caso è diverso: ha una massa otto volte superiore a quella della Terra e orbita nella “zona abitabile” di una stella nana rossa, dove potrebbe fluire acqua liquida.
Webb aveva già rilevato metano e anidride carbonica nella sua atmosfera già nel 2023, ma nuovi dati stanno sfidando gli scienziati a proporre ipotesi rivoluzionarie: “Stiamo osservando un pianeta alieno che potrebbe essere un mondo oceanico: un vasto oceano ricoperto di idrogeno e abitato da microrganismi estremofili”, spiega Madhusudan.
Sebbene ci sia l’entusiasmo, la comunità scientifica resta cauta e titubante: “Nel 1996 è stato finalmente confermato che i cosiddetti fossili marziani erano rocce” – ha ricordato Christopher Grain, esperto del Southwest Research Institute – “Ciò ha richiesto una verifica incrociata.” Ma il metodo di transito di Webb, che analizza la luce delle stelle che attraversa l’atmosfera di un pianeta alieno, ha fornito dati precisi senza precedenti.
Pianeta alieno e l’enigma delle biofirme: “Servono anni per avere certezze”
Il vero rompicapo è capire come quei gas siano finiti sul pianeta alieno: gli scienziati discutono tra scenari ottimisti – attività biologica simile a quella terrestre – e spiegazioni più prudenti, come reazioni chimiche sconosciute in atmosfere ricche di idrogeno.
“La natura è piena di trappole”, è l’avvertimento di Lisa Kaltenegger, direttrice del Carl Sagan Institute: “Il DMS potrebbe essere un sottoprodotto di processi geologici esotici. Servono modelli più complessi”. Intanto, K2-18 b si conferma un laboratorio unico: appartenente alla categoria dei “sub-Nettuno”, questo pianeta alieno sfida le teorie sulla formazione dei mondi oceanici.
“Se confermato, sarebbe la prova che la vita può nascere anche in ambienti estremi”, afferma Madhusudhan, ma la strada è lunga e servono nuove osservazioni con strumenti diversi e il contributo di telescopi di prossima generazione, come l’ELT in Cile: “Siamo ancora alla prima pagina di un romanzo”, ammette lo scienziato, “ma per la prima volta, abbiamo un indizio credibile”.
Pianeta alieno e il futuro dell’umanità: “Siamo pronti a non essere soli?”
Se la scoperta sul pianeta alieno resisterà alle verifiche, le implicazioni travalicheranno la scienza con religioni, filosofia, politica, ogni aspetto della società dovrebbe confrontarsi con l’idea di un universo brulicante di vita: sarebbe una vera e propria rivoluzione copernicana.
Per gli scienziati – però – la priorità è evitare errori del passato: “Lowell sbagliò i canali di Marte, noi non possiamo permetterci illusioni”, conclude Madhusudhan.
Ma c’è anche chi sogna in grande: se K2-18 b ospita davvero dei microbi, allora la Via Lattea potrebbe essere un gigantesco “formicaio cosmico”; Webb ha acceso un faro nell’oscurità e questo fascio di luce punta dritto verso un pianeta alieno che, forse, ci sta dicendo: “Non siete soli”.