Sono passati trent’anni da quell’8 agosto 1991 in cui la nave albanese Vlora giunse nel porto di Bari con ventimila persone che scappavano dalla propria terra. Sembrava un formicaio, invece era un groviglio di corpi, tanto che le operazioni di attracco furono difficili. C’era chi si gettava in acqua per raggiungere a nuoto la terraferma e chi urlava “Italia, Italia” facendo con le dita il segno della vittoria, perché quello era arrivare nel nostro Paese. Il giorno prima la nave mercantile, arrivata al porto di Durazzo, fu presa d’assalto da migliaia di persone, tanto che il capitano fu costretto a fare rotta verso l’Italia. Quella marea di uomini, donne, ragazzi e bambini arrivò a Bari il mattino dopo: 20mila profughi in cerca di fortuna (come Kledi Kadiu).
Inizialmente obbligarono il comandante a dirigersi verso Brindisi, poi le autorità italiane dirottarono la nave verso Bari, rendendosi conto che c’erano molte più persone di quelle arrivate nei mesi precedenti. Alcune di queste non ce la fecero a sbarcare: secondo i racconti di alcune persone a bordo, ci furono dei morti durante il viaggio.
30 ANNI FA LO SBARCO A BARI DELLA NAVE VLORA
Dopo la fine del regime comunista, l’Albania era isolata e aveva un livello di criminalità molto alto, come quello della povertà. Per questo in quel periodo il Salento era da mesi approdo quotidiano di migranti, ma Bari si trovò di fronte ad un’ondata umana che non era mai capitata prima nel mondo. Fu un’emergenza storica, anche perché all’epoca non c’era una Protezione civile organizzata e strutturata come ora. Non c’era neppure la cultura dell’accoglienza, né politiche e protocolli operativi. Mancavano anche gli spazi. In pochi riuscirono a scappare e nascondersi dopo essere arrivati a Bari e confinati nello Stadio della Vittoria, gli altri furono presto rimpatriati. Nei giorni seguenti, infatti, furono riportati in Albania su aerei e traghetti, ma con l’inganno. Gli era stato detto che sarebbero stati portati in altre città italiane, invece il 16 agosto ritornarono in Albania, tranne duemila persone circa che appunto riuscirono a scappare, ma vivendo a lungo come clandestini in Italia.