Ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Ue adatterà le regole sugli aiuti di Stato per renderli più semplici e veloci e per includere “aiuti mirati per impianti e catene del valore strategiche” in modo da controbilanciare i rischi di rilocazione che arrivano dagli incentivi stranieri. Von der Leyen mette subito le mani avanti aggiungendo che gli aiuti di Stato sono una soluzione solo per pochi Stati e quindi che “nel medio termine” verrà costituito un fondo sovrano europeo.
Gli aiuti di Stato sono un tabù per l’Unione Europea e per il mercato comune che è uno dei suoi pilastri. Dato che ci sono Stati con capacità fiscali e debiti molto diversi in una costruzione rigida che ha una sola valuta e non ha meccanismi di redistribuzione interna, se in Europa fossero ammessi aiuti di Stato il mercato comune salterebbe oppure i Paesi più fragili verrebbero completamente deindustrializzati. L’Europa oggi decide di adattarli e l’immediato accenno al fondo sovrano europeo per ovviare al “dettaglio” delle diverse capacità di spesa svela il senso di questo adattamento: meno vincoli per tutti.
Due giorni fa Bloomberg avvertiva gli investitori che quest’anno la Germania si appresta a emettere un numero record di nuovi titoli di debito pubblico e a fare il deficit più alto degli ultimi decenni e superiore a quello del 2020. Sono le politiche necessarie per contrastare la crisi energetica e i suoi effetti sul sistema industriale, in prima battuta, e sulle famiglie.
In ogni crisi economica i singoli Stati europei hanno avuto spazi di manovra diversi; il risultato è stato una divaricazione delle performance economiche. Sono state crisi singole che hanno lasciato cicatrici, ma che sono rientrate regolarmente in 12/18 mesi.
Oggi però ci troviamo in un contesto completamente diverso, perché la crisi energetica che lascia le imprese europee a fronteggiare costi molto superiori ai concorrenti cinesi o americani non si risolve in 12/18 mesi ma in molti anni. Inoltre la ristrutturazione delle catene di fornitura globale è appena partita ed è un processo lungo che vede società e imprese spostare impianti e produzioni per adattarli alla nuova realtà geopolitica con un impatto economico colossale.
Se l’Europa concede regole meno stringenti per gli aiuti di Stato, per ragioni green e di politica industriale, senza uno strumento che consenta una politica uniforme, ciò che accadrà è che le imprese in Stati con minore spazio fiscale o con minore presa politica verranno schiacciate da quelle degli Stati più forti. Le opportunità perse o guadagnate in una fase di cambiamento profondo dei commerci e delle produzioni globali contano il triplo, almeno, rispetto a una fase normale. Non si comprende come il mercato comune possa sopravvivere a tensioni di questo tipo se non ipotizzando che le parti più deboli dell’eurozona accettino un declino sostanziale.
La decisione della Germania di fare tanto deficit e tanto nuovo debito si traduce, sicuramente in Italia, in una maggiore competizione per l’emissione dei Btp e quindi in rendimenti maggiori. Gli schieramenti che siamo stati abituati a vedere nelle crisi dell’euro e dell’Europa oggi non ci sono più perché, per esempio, Spagna e Portogallo hanno i prezzi dell’elettricità più bassi in Europa e vengono solo marginalmente colpiti dalla crisi energetica rispetto a quanto toccato a Italia o Germania.
L’Italia è veramente da sola e mai come ora rischia di entrare in una fase di “volatilità finanziaria” e insieme di crisi profonda del suo sistema industriale stretto da costi energetici impazziti, politiche protezionistiche (pensiamo agli Usa con l’Inflation reduction act) e competizione interna europea senza alcuna regola se non la legge del più forte.
L’unica cosa che avrebbe dalla sua l’Italia sarebbe il risparmio privato e il tasso più alto di possesso della prima casa nell’Europa occidentale. Nel primo caso ci pensa il Mes e nel secondo, probabilmente, la nuova direttiva europea sulle classi energetiche delle case. Vista l’invidiabile situazione economica, giustamente il Paese continua a finanziare la guerra e ad approvare sanzioni. L’Europa ce lo chiede.
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