Dicono che Giorgia Meloni si sia alterata non poco quando le hanno riferito che la diplomazia europea si era messa in moto discretamente nel tentativo di organizzare a Roma, durante le esequie di Papa Francesco, un faccia a faccia fra Ursula von der Leyen e Donald Trump.
Dicono che la premier si sia sentita scavalcata dalla presidente della Commissione europea, che ha cercato di fare da sola, così da non riconoscere quel ruolo di mediazione che Meloni pensava di essersi ritagliato dopo essere uscita indenne dall’insidioso colloquio nello Studio Ovale il Giovedì Santo.
Del resto, Meloni sente che questo è il suo momento, anche per una serie di circostanze casuali, e vorrebbe sfruttare la situazione appieno, pur nella consapevolezza che gli altri leader europei quella funzione di ponte non sono affatto rassegnati a riconoscergliela.
Sul sagrato di San Pietro sabato mattina ci sarà una concentrazione di potere con pochi precedenti. Nello spazio di pochi metri quadrati il presidente americano e quello ucraino Zelensky, alla ricerca di un colloquio con l’inquilino della Casa Bianca per evitare una umiliante resa dopo tre anni di sanguinosa resistenza alle pretese di Putin. E smaniosa di parlare di dazi con Trump è poi una nutrita delegazione europea con von der Leyen, Metsola e Costa. E poi il presidente francese Macron, il premier inglese Starmer, e tantissimi altri. 170 delegazioni in tutto, elenco in continuo aggiornamento. Impossibile per la premier italiana tenere sotto controllo tutti gli infiniti incastri possibili. Ma quelli principali sì, non ha intenzione di farseli sfuggire.
Il vertice USA-UE, nelle intenzioni di Palazzo Chigi, sarebbe da fare a maggio a Roma. La partita dei dazi americani è troppo delicata per non essere giocata sino in fondo. Sia per il valore economico, cioè per l’impatto sull’economia italiana, sia per il valore politico, per aprire una breccia in un’Europa che ancora si rivela respingente per Meloni e per i suoi.
Ecco perché la premier farà di tutto affinché il dialogo fra le due sponde dell’Atlantico transiti esclusivamente attraverso di lei. La prima mossa, essere il primo capo di governo ricevuto alla Casa Bianca dopo lo scoppio della guerra delle tariffe doganali, è riuscita. Ora va respinto il tentativo di von der Leyen di fare da sola, e pure quelli di Macron e di tutti gli altri.
Ma se il blitz della presidente della Commissione riuscisse, Meloni lo vedrebbe come uno sgarbo, anche pensando ai numerosi contatti intercorsi tra Chigi e Bruxelles prima del viaggio a Washington. E non si potrebbe escludere, da parte sua, una piccata risposta “bilaterale”. Con un Paese partner in UE o con gli USA.
La diplomazia italiana nelle prossime 48 ore sarà mobilitata allo spasimo per giocare il ruolo di padroni di casa. Meloni ha mostrato un rapporto non banale con il pontefice scomparso.
Basti per tutto l’invito a Papa Francesco a intervenire al G7 per parlare di intelligenza artificiale, la nuova frontiera dell’umanità. Fu un indubbio successo, e dimostra come Meloni intenda giocare tutte le partite più delicate, anche se certo non è detto che sia in grado di vincerle tutte.
Il suo governo è arrivato al giro di boa di metà legislatura senza vedere minimamente incrinato il suo consenso. L’opposizione è divisa e non rappresenta certo una minaccia, gli screzi interni alla maggioranza (tra FI e Lega) sinora ha dimostrato di essere in grado di tenerli agevolmente a bada.
Certo, deve evitare di strafare, e forse sul lutto nazionale ha leggermente esagerato: cinque giorni di lutto nazionale sono troppi, visto che più di tre non sono mai stati proclamati in passato per la morte di un pontefice, con il retropensiero di aver cercato di attutire l’80esimo della Liberazione.
Oggi però la vera battaglia politica è quella che si gioca sul piano internazionale. Il futuro politico di Meloni è legato soprattutto a quel che avviene in Europa, e fra Europa e Stati Uniti. Non è facile, ma la sua partita è questa, non certo quella con Schlein o Conte. Tutto dipenderà da come saprà muoversi. Senza strafare.
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