Bisogna scomodare la figura mitologica del Giano bifronte per capire qualcosa di ciò che accade nel governo. Gli antichi romani ci hanno consegnato sculture del dio con una testa e due facce che guardano in direzioni contrapposte: il futuro e il passato, l’interno e l’esterno. L’immagine della testa unica con quattro occhi divergenti è la fotografia del governo in carica. Non passa giorno senza che i due volti dell’esecutivo grilloleghista accentuino le distanze, dallo scandalo dei rubli putiniani ai futuri equilibri europei.
La spregiudicatezza di Salvini non conosce più freni. La convocazione dei sindacati al Viminale per discutere della prossima legge di bilancio è la fotografia dell’esecutivo secondo il ministro dell’Interno, dove lui è il numero 1 mentre Giuseppe Conte è considerato un portaborse di Di Maio. Il premier si è risentito, ha duramente criticato quello che formalmente resta uno dei suoi vice per un’iniziativa che rimane irrituale, ma Salvini ha alzato le spalle. Conte e Di Maio hanno poi fatto fronte unico sullo scandalo russo, invitando Salvini a riferire alle Camere. L’insistenza di M5s (e Pd) nel cercare di trascinare il vicepremier in aula ha un motivo ben chiaro: associare la sua persona allo scandalo e all’inchiesta in corso a Milano.
Fino all’altro giorno si poteva pensare che l’obiettivo dei grillini fosse mettere in difficoltà l’alleato. Ma il voto di ieri che ha portato la tedesca Ursula von der Leyen alla testa della Commissione Ue segna una svolta. L’erede di Juncker è passata per appena 9 voti e determinante è stato il sostegno avuto dagli europarlamentari M5s, mentre la Lega con gli altri partiti euroscettici e sovranisti ha votato contro. Quando Conte, con la benedizione di Sergio Mattarella, era volato a Bruxelles per trattare con gli altri partner per poi confermare l’appoggio alla von der Leyen, aveva negoziato un pacchetto preciso per fare entrare i 5 Stelle nella stanza dei bottoni europea.
Ma soprattutto aveva dato il via libera a uno schema che potrebbe essere riproposto anche in Italia. Nonostante l’euroscetticismo manifestato in passato, i grillini hanno stretto un accordo con le forze tradizionalmente europeiste, in particolare i socialisti europei. Nei giorni scorsi i 5 Stelle hanno votato l’italiano David Sassoli come presidente dell’Assemblea e poi hanno ottenuto una vicepresidenza (facendo infuriare Salvini che nonostante il 35 per cento delle urne era rimasto completamente a bocca asciutta) benché non abbiano ancora trovato una collocazione all’interno di un gruppo europarlamentare.
Il voto di ieri sigilla questo patto. L’interlocutore scelto dai 5 Stelle a Bruxelles non è l’area sovranista ma quella europeista. E la riprova arriverà quando la von der Leyen comunicherà i componenti della Commissione da lei guidata: fino a ieri il nome del commissario italiano era quello del sottosegretario Giancarlo Giorgetti, ma ora è impensabile che venga scelto un leghista (che ha votato contro l’esecutivo Ue). E così i grillini faranno filotto, aumentando il furore di Salvini.
La svolta eurocentrica di Di Maio è un segnale evidente agli alleati leghisti: se tireranno troppo la corda, il governo cadrà. Tuttavia, non si andrà al voto come spererebbe il leader leghista. Mattarella non solo non scioglierà le Camere ad appena un anno e mezzo dal voto del 4 marzo 2018, ma addirittura ha già pronta una maggioranza alternativa per un governo tecnico, magari a guida di quell’eurocampione che risponde al nome di Mario Draghi. E la nuova maggioranza metterebbe al fianco M5s e Pd, come è già successo ripetutamente in questi giorni a Bruxelles. Salvini avvisato, mezzo salvato. Se non rientra nei ranghi, potrebbe presto uscirne.