Yara Gambirasio: l'omicidio, la traccia DNA "31-G20", l'identificazione di Bossetti e le contestazioni della difesa sulla prova genetica
Va in onda questa sera su Canale 5 il film “Yara”, firmato da Marco Tullio Giordana, e torna così sotto gli occhi della cronaca uno dei casi giudiziari più discussi dell’ultimo decennio, quello dell’omicidio di Yara Gambirasio e dell’identificazione del suo presunto assassino attraverso una traccia di DNA nucleare.
L’indagine prese forma attorno al reperto chiave trovato sugli indumenti intimi della ragazza, classificato come “31-G20”, in cui venne isolata una sequenza genetica maschile, priva però della sua componente mitocondriale, una mancanza giudicata strana dai legali della difesa ma considerata fisiologica dagli esperti nominati dalla Procura, che misero in evidenza come in genetica forense il DNA mitocondriale non venga utilizzato per identificare una persona ma solo per confermare una linea materna.
A partire da quella traccia, gli investigatori misero in moto una gigantesca campagna di comparazione genetica che coinvolse oltre 25.000 soggetti, portando infine all’identificazione del cosiddetto “Ignoto 1” attraverso il confronto con il DNA di Giuseppe Guerinoni, un autista morto anni prima, che risultò essere il padre biologico del profilo maschile individuato sul corpo della ragazza e tramite il figlio non riconosciuto di Guerinoni, il muratore Massimo Bossetti, si arrivò a un’identificazione certa secondo l’accusa

Il suo DNA nucleare, prelevato durante un controllo stradale simulato, combaciava perfettamente con quello della traccia “31-G20” e il 16 giugno 2014 Bossetti fu arrestato e due anni dopo condannato all’ergastolo: una sentenza che si basa, quasi interamente, su quella prova genetica.
Yara Gambirasio, le contestazioni sul DNA e le accuse di una prova non ripetibile
Nel processo per la morte di Yara Gambirasio, la difesa ha sempre contestato l’utilizzo della prova genetica ritenuta dalla Procura e dai giudici sufficiente per condannare Bossetti in via definitiva ma l’elemento più discusso rimane l’assenza del DNA mitocondriale, che secondo i consulenti nominati dalla difesa sarebbe dovuto essere presente se la traccia fosse davvero completa e affidabile, mentre per l’accusa la degradazione del corpo – rimasto esposto per mesi all’aperto – e la natura mista del campione (contenente anche materiale genetico della vittima) potrebbero aver coperto quella componente.
Per i giudici di primo e secondo grado la presenza del DNA nucleare è bastata a identificare Bossetti come unico colpevole e l’intera perizia genetica, secondo la Corte, era processualmente utilizzabile e scientificamente valida, la difesa però ha sempre fatto leva su tre punti critici: Bossetti non era presente durante l’analisi del DNA, l’esame venne eseguito senza garanzie difensive e nessun test fu mai ripetuto, nemmeno quando il collegamento con il muratore era diventato evidente.
L’anomalia del DNA mitocondriale – assente nella traccia ma rilevato in quantità minime da un altro individuo non identificato – è stata interpretata come un possibile segnale di contaminazione, ma nonostante ciò, la Corte ha comunque confermato l’ergastolo in primo grado, in appello e infine in Cassazione; ma oggi, dopo anni di richieste respinte, il Tribunale di Bergamo ha concesso per la prima volta alla difesa l’accesso ai dati genetici originali, ai tracciati elettroforetici e alle immagini ad alta definizione degli indumenti di Yara, tutti materiali che, anche se non comprendono i reperti fisici, rappresentano secondo gli avvocati Salvagni e Camporini un primo passo per riesaminare con metodo proprio la prova centrale del processo.
Yara Gambirasio, la difesa analizza i nuovi dati: verso un’indagine tecnica sulle tracce
Nel fascicolo del caso Yara Gambirasio entrano ora, dopo sei anni di attesa, documenti che la difesa non aveva mai potuto consultare in modo autonomo: il provvedimento firmato il 17 giugno dal Tribunale impone infatti alla polizia giudiziaria di raccogliere entro 30 giorni una serie di materiali conservati presso il RIS di Parma e la Polizia Scientifica lombarda: fotografie ad alta risoluzione degli indumenti di Yara Gambirasio, tutti i tracciati elettroforetici relativi al DNA della ragazza, e le analisi effettuate su ciascuno dei 25.000 campioni maschili raccolti negli anni per identificare Ignoto 1.
Il genetista Marzio Capra, incaricato dalla difesa, analizzerà la sequenza “31-G20” partendo proprio da questi dati, alla ricerca di possibili errori di interpretazione o di tracce compatibili con altri profili, ma l’attenzione è concentrata soprattutto sugli slip e sui leggings di Yara Gambirasio – i capi da cui fu estratta la traccia decisiva – per verificare, con tecnologie moderne e non invasive, l’eventuale presenza di elementi rimasti invisibili agli occhi di chi esaminò quei reperti oltre dieci anni fa.
La difesa ribadisce che il DNA mitocondriale dovrebbe essere rilevabile se il campione fosse effettivamente attribuibile a Bossetti, ma, al contrario, la sua assenza – insieme alla presenza di una traccia non riconducibile né alla ragazza né al condannato – potrebbe aprire una nuova discussione scientifica e giudiziaria.