Trump accetta di parlare con Putin, ma sa che la guerra non potrà finire in un giorno. Anzi, le dichiarazioni sulle mire USA relative a Canada, Panama e Groenlandia potrebbero essere un modo per nascondere le difficoltà a trovare una soluzione in Ucraina. Raggiungere un accordo non sarà facile, osserva Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, perché Putin non vuole un cessate il fuoco, ma un accordo che ridisegni la sicurezza dell’Europa. E se Trump non riuscisse a far quadrare i conti, alla fine la guerra potrebbe anche rilanciarla. In tutto questo, l’Italia si starebbe ritagliando un ruolo: la visita di Zelensky a Meloni e Mattarella potrebbe essere dettata dal fatto che proprio la presidente del Consiglio italiana sia portatrice di un messaggio di Trump, appena incontrato anche per risolvere il caso di Cecilia Sala.
Trump dice che asseconderà la richiesta di incontro di Putin sull’Ucraina. Anzi, lo sta già preparando. Un segnale importante?
È un buon segnale, sicuramente, anche se non credo che questo significhi la soluzione dei problemi. Putin, considerato come stanno andando le cose sul campo, non si accontenterà di un accordo qualsiasi, ma non può neanche lasciar cadere questa apertura del presidente degli Stati Uniti nei confronti della Russia.
Putin e il suo ministro degli Esteri Lavrov, però, hanno detto che il piano di pace di Trump non va bene: riusciranno a intendersi?
Il nodo è sempre l’appartenenza dell’Ucraina alla NATO, una medicina che la Russia non può mandare giù. E non cederà neanche sui territori che ha occupato, vista anche la velocità con la quale sta procedendo sul terreno. Sia Putin sia Trump si stanno mettendo in gioco, ma la partita è difficile. Lo dice il fatto che il nuovo presidente USA, dopo aver detto che avrebbe risolto tutto in 24 ore, adesso dice che lo farà al più presto possibile.
Il suo rappresentante speciale per l’Ucraina, Keith Kellogg, ha rivelato che spera di riuscirci in cento giorni. Troppo ottimista anche lui?
Si sono resi comunque conto che la situazione è molto complessa. A Donetsk i russi stanno avanzando in maniera impressionante. E la sacca che gli ucraini hanno creato in territorio russo a Kursk viene erosa dai soldati di Mosca. Da parte russa c’è sempre il timore che gli ucraini tentino una incursione, se non a Kursk, a Belgorod o a Bryansk, ma Kiev in questo momento è messa molto male.
Sappiamo a cosa Putin non vuole rinunciare, ma ci sono punti irrinunciabili anche per Trump?
Difficile rispondere. Trump è in preda a un attivismo geopolitico impressionante, che lo porta a parlare di Canada, Groenlandia, Panama. Potrebbe essere anche finalizzato a mettere un po’ in sordina quello che sta succedendo o quello che potrebbe succedere di insoddisfacente per lui in Ucraina, con un accordo per il quale occorrono tempi lunghi.
L’incontro Putin-Trump, comunque, resta un momento importante per cercare di uscire da questa situazione?
Sicuramente segna un punto: Putin si riaccredita agli occhi del mondo come interlocutore con il quale si può trattare, proprio mentre pende su di lui un mandato di cattura della Corte penale internazionale (CPI). Trump, da parte sua, potrà dire a tutti che ha iniziato il dialogo con il Cremlino. Tuttavia, non dobbiamo aspettarci risultati immediati. Nessuno dei due si può accontentare: Putin non può dire alla sua opinione pubblica che riconsegna un pezzo di territorio all’Ucraina, Trump deve far vedere che un risultato, comunque, lo porta a casa. Ma è l’avvio di un processo lento.
Zelensky è stato a Roma per parlare con Meloni e Mattarella. Qual è l’importanza del nostro Paese, visto da Kiev?
L’Italia è un Paese tradizionalmente importante, soprattutto per quanto riguarda le sue capacità di mediazione. E ultimamente alla Meloni è riconosciuto un ruolo importante a livello internazionale, anche in seguito alle trattative per liberare Cecilia Sala, in cui ha promosso un’azione diplomatica rivolta a USA e Iran. Non escluderei che la Meloni sia portatrice di un messaggio di Trump nei confronti di Zelensky; si spiegherebbe perché il presidente ucraino è venuto a Roma subito dopo l’incontro della presidente del Consiglio italiana con Trump.
In altri termini, che ruolo stiamo giocando?
L’Italia potrebbe contribuire all’avvio della trattativa. Sarebbe già un grosso successo, impensabile fino a poco tempo fa, se pensiamo che Zelensky ha proibito per decreto che si tratti con la Russia, con Putin in carica.
Intanto, l’Alto rappresentante della UE per gli Affari esteri, Kaja Kallas, sostiene che Putin capisce solo il linguaggio della forza e che l’Europa è pronta a sostituire gli USA nel sostegno all’Ucraina. Vive in un altro mondo?
È la rappresentante di un piccolo Paese, l’Estonia, estremamente intransigente nei confronti della Russia, che per la Kallas deve essere smembrata. Lo pensano tutti i Paesi baltici. Ma la situazione è molto variegata. Potremmo dire che riaffiorano gli imperi: in Medio Oriente quello ottomano, con la Turchia protagonista; in Centro-Europa Austria, Ungheria, Slovacchia, Croazia, che stanno dotandosi di leadership conservatrici, di destra o centro-destra, e che hanno un approccio nei confronti della guerra assolutamente critico. È un contesto in cui l’Italia può ritagliarsi un ruolo diverso: eravamo la Cenerentola d’Europa, ma ora la Germania è in crisi, la Francia non ne parliamo, e la Gran Bretagna ha i suoi problemi. Noi, invece, abbiamo una stabilità che gli altri non hanno.
L’attuale capo del Pentagono, Lloyd Austin, dice che la Russia ha perso due terzi della forza militare che aveva prima della guerra. Il conflitto sta costando così caro a Mosca?
Austin è di parte. E per di più è della parte perdente, perché è espressione dell’amministrazione Biden. Non può fare altro che tenere il punto, per mille ragioni. Sul fatto che la Russia abbia distrutto due terzi del suo potenziale ho i miei dubbi. Sul campo di battaglia, resta il fatto che la Russia sta andando avanti e l’Ucraina indietro.
Comunque, dall’amministrazione Trump non viene nessun segnale di aiuti militari: Kiev dovrà usare al meglio quanto arrivato da Biden nell’ultimo periodo della sua presidenza. Fino a quando basterà?
C’è sempre il rischio che Trump, di fronte a un fallimento del confronto con Putin, si rimetta a fare la voce grossa. Ma adesso Zelensky è molto preoccupato, perché vede la fine di questo flusso di denaro e di aiuti, oltre a grossissimi problemi di personale, con un tasso di diserzioni impressionante, anche se non ne parla nessuno. Su 500mila soldati che doveva mobilitare è riuscito ad arruolarne 200mila.
Secondo i media ucraini, Zelensky vorrebbe ripresentarsi alle presidenziali, ma sta cercando di convincere l’ex capo di Stato maggiore Zaluzhny a non farsi avanti come candidato, minacciandolo di incriminazione per la resa nella regione di Kherson e promettendogli la residenza della Rada. Una lotta senza esclusione di colpi?
Putin ha detto che lui è disposto a parlare con Zelensky solo se sarà rieletto. E l’attuale presidente ucraino, il cui mandato in realtà è già concluso, sente questa sua vulnerabilità.
Se è vero che Zelensky ha fatto queste pressioni su Zaluzhny, va detto che sulla democraticità delle elezioni future pesa un bel macigno.
Sulla democraticità delle elezioni in Ucraina avevo dubbi anche da prima. Poroshenko, che ha anticipato Zelensky, è stato insediato sostanzialmente con un colpo di Stato.
(Paolo Rossetti)
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