Uno dei recenti successi della stagione televisiva in abbonamento è un cartone animato, Strappare lungo i bordi, il cui autore è Zerocalcare, una serie seguitissima dal pubblico, prodotta in streaming da Netflix che riprende i temi e lo stile dei fumetti da cui è tratta. Zerocalcare, per chi non lo conosca, è un fumettista di vignette, di strisce e di quelle che oggi si chiamano “graphic novel”, praticamente romanzi, o racconti lunghi, disegnati. Come conseguenza del grande successo televisivo, anche i libri di Zerocalcare sono andati a ruba in edicola e libreria, diventando quasi introvabili. Le prenotazioni, parola di libraio, arrivano ormai a chiedere la pazienza di alcuni mesi.
Una di queste graphic novel è Kobane calling, una sorta di reportage “de noantri” sulla resistenza della città curda in Siria contro i miliziani dell’Isis in salsa romanesca: il linguaggio di Zerocalcare, anche nei cartoni della serie, è quello della zona di Roma intorno a Rebibbia. Kobane calling è un piccolo gioiello di informazione, oltre che di narrativa a fumetti, che ha fatto conoscere il tentativo di costruzione di uno stato di diritto e libero nel Rojava, dove si trova Kobane, in cui le donne, oltre che per la resistenza armata, hanno un ruolo fondamentale anche nella costruzione di una Costituzione moderna e liberale; tutte cose di cui sapremmo ben poco, per la carenza in cattiva fede dell’informazione mainstream, e che meglio conosciamo attraverso il linguaggio di Zerocalcare scanzonato, coatto e persino politicamente scorretto, ma originale e frizzante.
Qualche intellettuale maestro del pensiero della società dell’immagine sta già arzigogolando sul fenomeno Zerocalcare, con analisi e astruserie che vorrebbero strattonarlo verso chissà quale parte. Ma una delle qualità della serie Netflix sta nella fedeltà dell’autore a se stesso, alla sua semplicità anti-intellettualistica e coi piedi per terra. Continua a dichiarare che i suoi sono “disegnini”, fatti oltretutto a pennarello, e che alla costruzione della serie hanno lavorato duecento persone, “sennò continuate a pensare che faccio tutto da solo”.
La qualità ed efficacia artistica è accompagnata del contenuto del racconto. Si raffigura la storia (che sia più o meno autobiografica poco importa) di un ragazzo nato negli anni Ottanta, ormai cresciuto quindi, che lotta per trovare un posto nel mondo, una “cintura nera nell’arte di schivare la vita”, come lo definisce la sua coscienza, rappresentata in forma di armadillo.
A causa di questa arte di evitare le responsabilità ci vanno di mezzo soprattutto i rapporti, le amicizie, uno dei temi principali della serie. L’ultima delle sei puntate è generalmente definita “amara” dai commentatori che vorrebbero mettere in guardia gli spettatori. No, non amara: tragica. Anche in questo Strappare lungo i bordi è stupefacente: non ha paura di affrontare la vita e la morte, pur con le scarne risposte che si ritrova un giovane d’oggi che ha rinunciato ad ogni soluzione retorica sulla verità.
Una generazione mi divide per età da Zerocalcare, più giovane di me, il che permette di individuare le differenze tra una stagione, la mia, di rovelli esistenzialistici, discorsi e discorsi, verità dimostrate con disinvoltura e intransigenza, e la sua, in cui tante maschere non tengono più. Nei suoi racconti c’è una semplicità umana e divertente, meno viaggi mentali, meno trip, suppongo che direbbe lui.
Questo non implica un fuga di fronte alle cicatrici della vita, che rimangono sempre, come racconta alla fine dell’ultima puntata. Solo che al personaggio-autore non interessano le risposte preconfezionate, siano della società o della religione, neppure quelle che nascono dalla sua stessa, esilarante coscienza: le domande continuano ad essere poste e a rimanere aperte fino all’ultimo frame. Per la qualità della serie, unica di un fumettista italiano prodotta da Netflix, ma anche per l’apertura con cui ci lascia, c’è da essergliene grati. Sperando in una seconda edizione.
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