ZONE ROSSE E VACCINI/ “Non solo restrizioni e chiusure: ecco come si può riaprire”

- int. Girolamo Sirchia

Il governo oggi alza il velo sulle nuove misure restrittive e sul nuovo piano vaccini. Ma ci sono altre vie per salvare salute ed economia

Zona rossa a Roma Lapresse

Doppio appuntamento, oggi, in chiave strategie anti-Covid. Da un lato, il Consiglio dei ministri dovrebbe svelare le carte sulle nuove misure restrittive necessarie per arginare la corsa della pandemia, trainata dalle varianti (ieri in Toscana scoperto il primo caso di quella indiana). Dall’altro, in conferenza Stato-Regioni verrà illustrato il nuovo piano vaccini elaborato dal commissario per l’emergenza, Francesco Figliuolo. La certezza è che si va incontro a ulteriori restrizioni, ma non a un lockdown generale, almeno fino a Pasqua, mentre sul piano vaccini si spera di dare al pi presto quell’accelerata che da sola può garantire una ripresa più ravvicinata dell’economia. E su questo fronte, secondo Girolamo Sirchia, ex ministro della Sanità, “è necessario sbloccare la burocrazia, favorendo il coinvolgimento dei medici pensionati o degli specializzandi. Poi, è chiaro, che si farà quello che si può: abbiamo tagliato per anni la sanità, adesso siamo in una situazione critica”.

Draghi ha chiesto dati scientifici più rigorosi e aggiornati. Non sarebbe il caso di archiviare definitivamente quell’opacità sui dati scientifici, a partire dall’algoritmo misterioso con cui si calcola l’indice Rt, in base ai quali viene decisa la colorazione delle regioni?

A raccoglierli e a trasmetterli sono le Regioni, ma non tutte svolgono bene questi compiti e non sempre i numeri sono così affidabili. Si contano troppi passaggi, non c’è comunicazione diretta. Qui ci sarebbe molto da correggere e sistemare.

Oltre tutto i dati dell’Iss fotografano una situazione “vecchia” di 10-14 giorni, intanto l’epidemia ha ripreso a correre…

Oggi assistiamo a una recrudescenza della pandemia, soprattutto in alcune aree, anche se diffusa su tutto il territorio italiano. Nessuno sa dire per quale motivo stia accadendo e questo è il primo dato da capire, se si riesce.

Ma non è colpa delle varianti, soprattutto di quella inglese, ormai prevalente?

Vero. Ma quali variabili sono intervenute a Brescia e non in altre zone d’Italia per determinare l’impennata dei contagi? E’ doveroso attendersi una risposta a questa domanda. E non è l’unica.

Ce ne sono altre?

La seconda questione attiene al fatto che non è che non abbiamo messo in atto niente, sono state adottate misure restrittive importanti, non fino al lockdown, ma comunque limitazioni stringenti, che hanno rallentato un po’ la corsa della pandemia, ma non l’hanno risolta. Per quale motivo non è avvenuto?

Lei riesce a darsi una risposta?

A mio avviso, forse, il motivo è che sono state varate ordini e contro-ordini un po’ troppo ravvicinati, senza dare tempo ai provvedimenti di dispiegare appieno i loro effetti. Senza dimenticare che, accanto a chi ha osservato scrupolosamente le misure, altri non lo hanno fatto. Non a caso dal ministero dell’Interno è arrivato un richiamo a una maggiore severità da parte dei prefetti, invitati a vigilare sul rispetto delle norme in misura più assidua. Ma a giudicare da quel che vedo a Milano o nei servizi al Tg di vigilanza se ne vede poca. Un conto è dare gli ordini, un conto è verificare che vengano eseguiti e in che misura

Salvini, per esempio, ha chiesto “più controlli e meno restrizioni”. E’ d’accordo?

C’è del giusto in questa richiesta: i controlli sono assolutamente indispensabili, perché purtroppo non tutti si rendono conto dell’importanza di osservare le regole di protezione. Sulle restrizioni, confermo quello che ho già detto in una precedente intervista: più che chiudere bar e ristoranti era meglio responsabilizzare proprietari e gestori.

Niente lockdown totale, allora?

Una chiusura totale sarebbe utile, ma oggi rischierebbe di mandare a fondo l’intero paese.

In effetti il governo sta pensando a nuove strette con chiusure da zona rossa nei week-end. Si vorrebbe, insomma, seguire il calendario a colori adottato nel periodo di Natale. Scelta giusta ed efficace?

E’ una scelta di compromesso, perché con un lockdown totale e prolungato faremmo fallire mezza Italia, ma non possiamo certo permettercelo. Ci sono però altre vie di mezzo adottabili.

Per esempio?

Se gli esercenti di locali pubblici vengono vaccinati o sono venuti già a contatto del Covid sviluppando gli anticorpi, sono meno a rischio di stare a contatto con il pubblico. Quindi, perché non consentire a coloro che sono già immunizzati di tenere aperte le loro attività?

Sarebbe dunque importante realizzare – cosa in un anno di pandemia mai fatta, nonostante due ondate e una terza in corso – alcune indagini epidemiologiche?

Certo. Non effettuando ricerche di anticorpi presso la popolazione, ancora oggi non sappiamo realmente quanti italiani sono entrati in contatto con il Covid-19 e le sue varianti.

Le anticipo però una possibile obiezione: è ancora molto bassa la percentuale di chi è stato vaccinato o ha sviluppato gli anticorpi. Cosa ribatte?

E’ vero, si stima che siano attorno al 15% della popolazione, poca cosa, ma quel 15% può riprendere a lavorare. E’ un’opportunità da sfruttare, attraverso una maggiore concertazione con le Regioni e con i Comuni, anche perché l’Italia è un paese molto variegato: un ristorante con tavoli all’aperto, soprattutto nelle città con temperature miti, è senza dubbio meno pericoloso di un ristorante che ha solo locali al chiuso. Bisogna coinvolgere di più le persone che conoscono il territorio, e non chi sta seduto in un ufficio. E’ sbagliato adottare un unico provvedimento generalizzato, altrimenti vedo difficile capire come possa riprendersi l’economia.

Si dibatte sempre molto anche sulla chiusura delle scuole. La sua opinione?

Le scuole chiuse hanno sicuramente dato un contributo al contenimento delle infezioni e hanno creato dei problemi. Ma non basta.

Condivide l’orientamento del Governo di arrivare a criteri automatici perché scatti la zona rossa, cioè quando si è sopra i 250 casi ogni 100mila abitanti? E dovrebbe valere a livello regionale o più granulare?

A livello teorico può valere una proposta ragionevole: aumentano troppo i casi e si chiude. Ma su questo punto le incognite non mancano.

In che senso?

In base ai loro dati gli inglesi sostengono che le micro-zone rosse limitate non servono.

Da noi?

Alcuni sono favorevoli anche a chiudere singoli rioni all’interno di una città, senza arrivare alla chiusura dell’intero comune, ma non abbiamo dati né evidenze scientifiche sull’efficacia di una simile misura. L’automatismo degli indicatori proxy non è mai completamente affidabile, perché la variabilità a livello locale è molto ampia: un conto è una grande città, un conto è un piccolo paese…

Sul metodo c’è chi dice che rispetto al Conte 2 non è cambiato molto, non si vede la discontinuità…

Draghi non ha certo stravolto il corso delle cose, ma qualche modifica c’è. In continuità con il governo precedente, però, è il fatto che finora non sono state stanziate risorse in più nella sanità.

Capitolo vaccini. Il governo studia un nuovo piano…

A dire il vero finora non abbiamo avuto un piano vaccini nazionale. L’avessimo predisposto, a quest’ora saremmo più tranquilli. E’ drammatico e scandaloso che di questa omissione nessuno risponda e nessuno chieda scusa.

Nel nuovo piano in via di definizione si punta su fasce d’età e vaccini nelle aziende. Che ne pensa?

La vaccinazione è la speranza di poter uscire finalmente da questa situazione, anche se finora la macchina ha proceduto a rilento. Ma partire con le somministrazioni nei luoghi di lavoro, sarebbe davvero molto importante. Quante alle fasce d’età, è una scelta, un metodo. Premesso che oggi purtroppo tutto è diventato urgente, io tra le priorità metterei proprio la vaccinazione di tutti coloro che lavorano.

Ha senso avere un hub vaccinale ogni 40mila abitanti?

Il piano vaccinale dovrebbe, di regola, essere completamente scorporato dalle strutture sanitarie, perché vaccinare la gente negli ospedali o negli studi dei medici non è il massimo, hanno altro da fare, tant’è che, causa Covid, altre patologie ordinarie hanno sofferto molto: salviamo sì tante persone, ma ne condanniamo tante altre.

Quali strutture servirebbero?

L’ideale sarebbe avere grandi centri vaccinali. Ma può andar bene anche predisporre strutture mobili, affidate all’Esercito o alla Protezione civile. E più frequenti sono, meglio è. Ma tutto è legato alla presenza del personale, sanitario ma non solo, e queste operazioni vanno pensate in anticipo.

Il governo Draghi vuole farsi trovare pronto dopo Pasqua. E’ un tempo sufficiente?

Ma la vera domanda è un’altra: i vaccini ci sono e ci saranno? Se non arrivano, si possono mettere a punto le migliori macchine logistiche, ma tutto salta. E adesso ci sono anche dubbi sulla sicurezza di alcuni vaccini.

In Sicilia, dopo due morti sospette, è stato bloccato dall’Aifa un lotto di vaccini AstraZeneca. Il piano vaccini rischia di saltare anche a causa dell’affidabilità?

E’ un aspetto che va chiarito con la massima urgenza, visto che l’Italia ha puntato forte sui vaccini AstraZeneca. Bisogna fare pressing sulla società farmaceutica perché fornisca spiegazioni: che cosa non va? Perché in Danimarca e in altri paesi europei è stata sospesa la somministrazione di questo siero anti-Covid? Come si può rimediare?

(Marco Biscella)

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