BORSA E POLITICA/ I mercati vendono l’Italia (ma non per il referendum)

- Paolo Annoni

La Borsa italiana ha chiuso male la settimana. Sembra esserci sfiducia da parte degli investitori. Ma non per timori sul risultato del referendum costituzionale, spiega PAOLO ANNONI

crisi_grafico_borsa_recessione LaPresse

L’ultima giornata di borsa prima del rientro si è conclusa con un’altra performance da dimenticare per il listino italiano, che già prima di un autunno che si preannuncia complicato per il referendum sulle riforme costituzionali è di gran lunga il peggiore d’Europa nel 2016. La borsa di Milano è stata nuovamente trascinata al ribasso, -2,18% il saldo finale dall’ennesima giornata orrenda delle banche italiane tra cui spiccavano i -6% di Unicredit, la più grande banca italiana per attivi, e i -4% delle maggiori ex popolari e di Intesa Sanpaolo.

Al di là dei numeri e dei cali, quello che si percepisce è che il mercato italiano sia stato abbandonato dagli investitori globali che sono usciti prima della fine del 2015 quando si originava la crisi bancaria e non sono più rientrati. Gli stessi che facevano salire la Borsa italiana scommettendo che la ripresa sarebbe finalmente arrivata dopo un decennio di recessione in un Paese che non aveva recuperato sono quelli che hanno venduto e che soprattutto si guardano bene da investire euro in Piazza Affari oggi.

Le ragioni della scommessa di 12/18 mesi fa erano abbastanza semplici con uno scenario che si può facilmente riassumere. L’Italia era un Paese con molte potenzialità inespresse, un sistema produttivo ancora valido, un sistema finanziario ricchissimo di risparmio e che poteva attingere da una lunga lista di possibili riforme per migliorare un apparato statale-burocratico con ampissimi margini di miglioramento. Le potenzialità di recupero teoriche erano significative. Di questo scenario oggi non è rimasto praticamente niente. I dati sulla produzione industriale continuano a indebolirsi con un apparato produttivo stretto tra burocrazia e tasse asfissianti, colpito in alcune imprese chiave da indagini singolari e dalla scelta di molti imprenditori di vendere ad acquirenti che in molti casi hanno smantellato base produttiva e centri dirigenziali. Le riforme hanno toccato in modo discutibile solo il mercato del lavoro privato, ormai praticamente privo di potere contrattuale dopo la crisi, e quello bancario con risultati nulli in mezzo a rumour di insider trading. Il risparmio italiano è stato colpito da una crisi bancaria che all’inizio era molto più nell’immagine che nei numeri con l’incapacità o l’impossibilità del governo di mettere un freno alla crisi di quatto banche locali. Un investitore non può nemmeno sperare che cambi il contesto europeo perché anche le recenti evoluzioni non segnalano una modifica della politica economica con il nuovo “malato d’Europa”, l’Italia, privato di qualsiasi flessibilità sia dal punto di vista fiscale che bancario.

Questo è lo scenario prima del referendum di novembre che nella letteratura finanziaria rischierebbe di aggiungere un elemento di instabilità in Europa, nella terza economia dell’area euro che sarebbe anche il malato, alla vigilia di una fase decisiva con tre elezioni in stati chiave, la sfida posta dalla crisi dei migranti e quella di un’economia che non riparte. Immaginare che lo scenario che hanno in testa oggi gli investitori possa cambiare non è facile.

Ci vorrebbe subito come minimo un’apertura europea su deficit e banche e da parte italiana un intervento minimamente convincente sulle banche, dato che le soluzioni prospettate qualche settimana fa sui dossier bancari più spinosi appaiono ogni giorno che passa più incredibili come dimostra ogni giorno la borsa. La questione bancaria non solo non è risolta, ma rimane sostanzialmente ferma ad autunno 2015.

L’appuntamento elettorale di novembre scompare di fronte a questi due problemi urgenti e poi a quelli strutturali che come per magia dovrebbero rientrare con una moltiplicazione per dieci di quello che abbiamo avuto negli ultimi cinque anni di “uomini della provvidenza”. Se il problema fosse l’instabilità politica oggi Germania e Francia dovrebbero fare compagnia all’Italia, invece i problemi sono altri. Lo pensa il mercato da quasi un anno; un po’ troppo per pensare che sia la paura per una vittoria del No, come tra l’altro ha messo nero su bianco il responsabile dei rating sovrani di S&P settimana scorsa.







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