GIOVANNI PAOLO II/ Sirico (Ist. Acton): Wojtyla, il Papa della sussidiarietà

- int. Robert Sirico

Perchè il magistero di Giovanni Paolo II è anche oggi di strettissima attualità anche in campo di politiche economiche e dello sviluppo? ROBERT A. SIRICO lo spiega a Ilsussidiario.net

robert_sirico_R400 Robert Sirico (Imagoeconomica)

«Nessuno come Giovanni Paolo II può essere definito il Papa della sussidiarietà. Tra tutti i pontefici è stato il primo a sottolineare questo principio con tanta profondità e in modo così dettagliato. Mostrando che è la società a dover incontrare i bisogni umani là dove esistono realmente, mentre un eccessivo sforzo dello Stato non riuscirà mai a raggiungere le necessità più profonde del cuore dell’uomo». A spiegarlo a Ilsussidiario.net è Robert A. Sirico, sacerdote americano fondatore dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty ed editorialista di New York Times, Wall Street Journal, Financial Times e Forbes. A due giorni dalla beatificazione di Karol Wojtyla, Sirico rivela i motivi per cui la dottrina sociale ed economica del Papa polacco deve ancora in larga parte essere compresa dalla Chiesa e dal mondo di oggi.

Perché, nell’insegnamento di Giovanni Paolo II, le teorie marxiste non possono essere in alcun modo una soluzione alla povertà?

E’ interessante notare che quando venne promulgata la Laborem Exercens, nel periodo iniziale del pontificato di Giovanni Paolo II, fu pubblicato un commento di un teologo canadese che era stato coinvolto nel dialogo “cristiano marxista”, in cui  la enciclica veniva interpretata come la promozione di una sorta  di affinità tra cattolicesimo e marxismo. Questa affermazione suona divertente alla vigilia  della beatificazione di Giovanni Paolo e considerando, a posteriori, quali fossero le idee di questo Papa sul paradiso dei lavoratori marxista.
I problemi che Giovanni Paolo vedeva nel marxismo sono troppo numerosi per essere discussi qui, ma tra questi vi era senza dubbio il materialismo marxista, da cui originano movimenti che vedono ideologicamente nella povertà il male più grande. Per Giovanni Paolo era invece la perdita dell’anima per la coercizione e gli ostacoli che l’ordine socialista poneva sul cammino dell’uomo per realizzare la vocazione che gli viene da Dio. Questo materialismo è radicato in un errore del marxismo ancor più profondo, che è di natura antropologica, come il Santo Padre evidenziò ampiamente nella Centesimus Annus.

Quali sono le critiche rivolte invece da Wojtyla all’economia di mercato?

Il mercato che diventa un idolo, o viene ritenuto da chi vi opera  il fine, e non un mezzo, la persona che non è più al centro delle decisioni economiche, ecco, questi sono gli ammonimenti lanciati da Giovanni Paolo nei confronti delle economie di mercato. Lo ha affermato succintamente quando ha osservato che la libertà economica è solo una dimensione della libertà umana e che nel costruire una società libera è sempre necessario tener conto del quadro più ampio. Per Giovanni Paolo si è in presenza di un capitalismo cattivo o selvaggio quando l’economia libera non è situata in una struttura giuridica più ampia, fondata su principi morali e religiosi.

Per il Papa polacco, qual è il sistema migliore dal punto di vista sociale ed economico?

Nella sua fondamentale enciclica sociale, la Centesimus Annus, Giovanni Paolo ha affermato in modo chiaro che è la libera economia, come descritta nella precedente risposta.

Qual è la lezione di Giovanni Paolo II per quanto riguarda sussidiarietà e Stato sociale?

In un certo senso ci si potrebbe riferire a Giovanni Paolo come al Papa della sussidiarietà. Nessun Papa in precedenza, Pio XI incluso, la ha descritta con tale profondità e così in dettaglio, applicandola in modo cosi evidente al moderno Welfare State, come ha fatto lui. Ha indicato i livelli della società necessari perché i bisogni umani vengano affrontati dove effettivamente sono: se “i prossimi agiscono come prossimi ai bisognosi”. Ha individuato inoltre il modo in cui uno sforzo sbagliato porta solo alla creazione di costose e inefficienti burocrazie, che non riescono a vedere i bisogni più profondi del cuore dell’uomo.

Qual è il significato del lavoro definito da Giovanni Paolo II nell’enciclica Laborem Exercens?

L’enciclica sottolinea che, secondo la tradizione cristiana, vi sono due dimensioni nel lavoro dell’uomo. La prima è la dimensione oggettiva – transitiva: questo è l’effetto che un atto lavorativo produce sul mondo. La seconda è la dimensione soggettiva – intransitiva: l’effetto dello stesso atto lavorativo sulla persona che lo svolge e può promuovere sia la virtù che il vizio. Da un punto di vista cattolico non vi è nulla di particolarmente nuovo in questa idea.  Gaudium et Spes e molti Papi hanno detto la stessa cosa, che segue da vicino la trattazione della azione umana di San Tommaso. Ma nella Laborem Exercens, Giovanni Paolo II la usa per sottolineare l’errore marxista e materialista di concettualizzare il lavoro puramente nel suo aspetto oggettivo-transitivo.

Che cosa ne pensa dell’impegno di Giovanni Paolo II per l’abolizione del debito del Terzo Mondo? Era davvero il modo migliore per risolverne i problemi?

Non ricordo che Giovanni Paolo abbia mai detto che i debiti dei Paesi in via di sviluppo debbano essere semplicemente condonati in modo incondizionato. Egli era molto consapevole dell’insegnamento della Chiesa sulla giustizia commutativa e di come questa richieda che si tenga fede alle proprie promesse. Era anche cosciente del fatto che una pura e semplice cancellazione dei debiti avrebbe molto probabilmente distrutto l’affidabilità dei Paesi in via di sviluppo, costantemente bisognosi di capitali esteri. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, la cancellazione dei debiti non “risolve” i problemi della povertà e del sottosviluppo in questi Paesi. L’unica soluzione di lungo termine è la creazione di ricchezza, uno Stato di diritto, un forte regime di diritti di proprietà e una rapida integrazione nell’economia globale. Conseguire questi obiettivi non è né facile né semplice, specialmente per culture tradizionalmente deboli in questi campi. Né i cambiamenti possono avvenire nello spazio di un giorno, ma possono essere efficaci solo nel lungo tempo.

Ci sono differenze rispetto alla visione, propria di Benedetto XVI, del modo con cui i Paesi ricchi devono aiutare il Terzo Mondo?

Direi che le differenze sono molto piccole. Né Giovanni Paolo, né Benedetto vedono la soluzione nel protezionismo, di fatto condannato in numerose encicliche. Le cose migliori che le nazioni ricche possono fare sono (1) aprire i loro mercati al libero commercio con i Paesi in via di sviluppo e (2) smettere di comportarsi come neocolonialisti cercando di imporre il controllo sulle nascite a questi Paesi. Sia Giovanni Paolo che Benedetto sapevano che l’unica “crisi di popolazione” è quella delle popolazioni in decrescita, come l’Europa sta ora scoprendo. Anche Benedetto ha applicato il principio di sussidiarietà allo sviluppo degli investimenti internazionali, che personalmente considero come uno degli aspetti più innovativi della sua enciclica sociale, la Caritas in Veritatis. 

Quali sono le parti più attuali del magistero economico e sociale di Giovanni Paolo II? Ci sono anche elementi del suo insegnamento superati dal tempo?

Come vorrei che il nostro mondo avesse imparato le lezioni che Giovanni Paolo ci ha dato su sussidiarietà, libertà dell’uomo nel mondo economico e il potenziale morale per una imprenditoria cristiana! Il Socialismo Reale è crollato nella forma assunta in Unione Sovietica e nei suoi alleati, ma gli stessi errori son presenti oggi nell’ambientalismo radicale e nella forma politica di globalizzazione che è in realtà protezionismo mascherato da libero commercio.

(Pietro Vernizzi)







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