STRAGE AL BATACLAN/ Il pianista che suona Imagine: il nichilismo di chi ha smesso di chiedere aiuto

- Paolo Vites

Dopo gli attacchi qualcuno ha portato fuori del Bataclan un pianoforte e si è messo a suonare "Imagine", la nota canzone di John Lennon. La sintesi del disastro attuale. PAOLO VITES

john-lennon-peace_R439 Immagine di archivio

Ognuno reagisce ai fatti della vita come vuole e come può. L’editorialista di un importante quotidiano sportivo ad esempio oggi ha scritto a proposito dei fatti di Parigi che i musicisti che si esibivano al momento del massacro al Bataclan se la sono data a gambe levate al primo scoppio e ne sono usciti illesi. Definisce anche il nome del gruppo (anzi usa “complesso” come si faceva ai tempi del festival di Sanremo del 1962) “mai apparso tanto cretino come l’altra sera Aquile del Metallo Mortale”. A parte che non si traduce così, certamente i musicisti rock dovrebbero, in tali frangenti, trasformarsi in supereroi e uccidere i cattivi e non pensare, come hanno cercato di fare tutti quei poveretti che si trovavano nel locale, a salvare anche loro la pelle. Mah.

C’è invece chi ha reagito portando fuori del Bataclan un pianoforte e senza dire una parola si è messo per diverso tempo a suonare “Imagine”, la nota canzone di John Lennon. Un bel gesto: silenzio, nessun commento, solo la musica a ricordare quei poveri morti innocenti, uccisi proprio mentre ascoltavano della musica. 

Va bene così e gliene siamo grati, anche se l’uso perenne di una canzone che nell’immaginario comune è da decenni la canzone ufficiale della pace e dell’amore fraterno stona, se solo le persone cercassero di afferrare il senso vero delle parole. Imagine, nel suo buonismo ingenuo post hippie (Lennon la scrisse nel 1971, quando il flower power stava appena cominciando a sfiorire) è piuttosto la canzone del nichilismo assoluto, del vuoto assoluto come unica possibilità di realizzare pace e amore e un mondo senza violenze.

Infatti per arrivare a ciò, alla pace, secondo la canzone è necessario eliminare tutto ciò che da sempre costituisce il cuore dell’uomo e che lo spinge al suo desiderio di felicità: paesi, popoli, culture e soprattutto religione. Senza le religioni cattive che spingono gli uomini da sempre a uccidersi, avremo finalmente costruito il mondo dell’amore. Ma su cosa? Lo stesso Lennon ne era consapevole e ci aveva scherzato sopra, idealmente ripudiandola: “Imagine è virtualmente la canzone ufficiale del partito comunista: è antireligiosa, anticonvenzionale ma la gente l’ha accettata perché zuccherosa”. 

Ecco: una buona dose di saccarina sentimentale, che è più o meno quello a cui è ridotto oggi il cuore dell’uomo, diventando così facilmente manipolabile da ogni pubblicità televisiva, campagna sessuale, ideologia di turno e non ultimi i fanatici dell’odio assassino che in tanto vuoto si infilano a piacimento. Ogni strofa del brano si apre con una negazione: “Immagina che non ci sia il paradiso (…); nessun inferno; immagina che non ci siano nazioni; e anche nessuna religione; immagina che non ci sia possesso”. 

Un nirvana trasparente che rifiuta la realtà così come è, purtroppo oggi fatta di tanto male e poco bene, che rifiuta la colpa e la possibilità di redenzione, che appiattisce tutto nell’utopia. Non è un caso che negli anni 80, davanti alla crisi dei rapporti tra le superpotenze, lo slogan, “figlio” di Imagine, che andava per la maggiore era “meglio rossi che morti”. E il rosso, allora, significava l’impero sovietico.

Lennon ha scritto cose più belle di Imagine che si potevano suonare davanti al Bataclan, ad esempio All You Need is Love, che dice tutto quello che c’è da dire: tutto quello di cui abbiamo bisogno è amore. I giornali e i media vari però in questi gironi dicono che tutto il mondo e i parigini in particolare stanno cantando Imagine. Ok, ma una cantante spesso “blasfema” come Madonna l’altra sera nel corso di un suo concerto in lacrime ha chiesto di cantare così: “Solo l’amore può cambiare il mondo, cantiamo insieme questa preghiera” e ha eseguito la sua Like a Prayer. Immagini di alcuni tg francesi hanno mostrato gruppi di persone per le strade di Parigi che cantavano Halleluja, un’altra preghiera profonda, questa volta di Leonard Cohen.

Dopo la tragedia dell’11 settembre, così simile ai fatti di questi  giorni, Bruce Springsteen scrisse di getto una canzone dedicata a New York, “My city of Ruins”, la mia città di rovine. Senza paura di apparire un bigotto o un ingenuo, sottolineò quello di cui in quel momento c’era bisogno:  “Con queste mani  io ti prego Signore prego di avere la forza,  prego per il tuo amore, prego per chi si è perduto, prego per questo mondo: avanti Signore risorgi”. 

E’ quello di cui c’è ancora bisogno perché l’uomo potrà anche immaginare paradisi perfetti sulla terra, ma siamo fatti di altro: di peccato e di bisogno di essere salvati dal male, che prima di tutto è il nostro male. Nel loro ultimo disco pubblicato da pochi mesi, gli Eagles of Death Metal avevano inciso una cover dei Duran Duran: si intitiola Save a Prayer. Il rock sa anche essere profetico. Dopo le stragi di Parigi, salviamo almeno una preghiera.







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