GEOFINANZA/ Ecco la “bomba atomica” in pancia alle banche Usa

- Mauro Bottarelli

L’esposizione totale ai derivati delle prime venticinque banche degli Stati Uniti, spiega MAURO BOTTARELLI, è di 222 triliardi di dollari: un pericolo che riguarda anche l’Europa

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Buone notizie dal mondo. Mercoledì un’ex direttore di Bankia, Mercedes Rojo-Izquierdo, ha deposto di fronte alla Corte penale di Madrid, nell’ambito dell’inchiesta per determinare cause e responsabilità del collasso del gruppo bancario che ha portato al suo salvataggio statale prima, 19 miliardi pagati dal governo, e poi alla richiesta da parte di Madrid di 100 miliardi di euro dall’Ue per cercare di puntellare l’intero sistema iberico. Ebbene, cosa ha risposto l’ex manager al giudice Fernando Andreu, quando le ha chiesto conto di falsificazione dei conti, appropriazione indebita e price-fixing? La signora, una dirigente da 374mila euro all’anno giunta ai vertici di Bankia nel 2010 dopo la fusione delle sette casse di risparmio regionali e prima consulente per il governo di Madrid, ha candidamente ammesso di non capire assolutamente nulla di finanza: «Io sono laureata in chimica». Meraviglioso, semplicemente meraviglioso! Ecco cos’è il sistema bancario spagnolo, un covo di incompetenti strapagati. Ma, paradossalmente, questo è l’ultimo dei problemi che dobbiamo porci. C’è di peggio. E molto.

L’altra sera, ospite a “Porta a porta”, Giulio Tremonti ha detto chiaramente che ora Obama sarà obbligato a mettere mano a un sistema di regolamentazione del settore bancario, visto che nonostante le molte capriole liberiste e le idiozie sul tema vendute da Mitt Romney in campagna elettorale, la crisi è nata lì e soltanto lì. Ce la farà il buon Obama? Il compito è di quelli poco piacevoli ed estremamente delicati, qualche numero potrebbe aiutarvi a capire il perché. L’ultimo bollettino disponibile dell’Occ (Office of comptroller of the currency) statunitense è quello relativo al secondo trimestre di quest’anno e ci dice che l’esposizione totale ai derivati delle prime venticinque banche del Paese è di 222 triliardi di dollari. Avete letto bene, espresso in milioni di dollari il numero è questo: 221.949.873.

Qualche dettaglio sulle top five? Pronti. L’esposizione ai derivati di JP Morgan Chase è di 71 triliardi di dollari, quella di Citibank di 52, quella di Bank of America 44,4 triliardi, quella di Goldman Sachs di 42 triliardi e quella di Hsbc è di 4,5 triliardi di dollari. Seguono Wells Fargo con 3,6 triliardi, Morgan Stanley con 2,5 triliardi e Bank of New York Mellon con 1,3 triliardi. Insomma, le banche statunitensi sono le più grandi detentrici di derivati al mondo, una vera e propria bomba atomica finanziaria.

Dalla fine degli anni Ottanta, quando questo mercato ha preso piede, l’esposizione nozionale è passata da 10 triliardi di dollari agli attuali 225, il 97% dei quali nei portafogli di cinque banche. Ovviamente, JP Morgan non corre un rischio reale da 71 triliardi di dollari, anche una frazione di quella cifra può significare un’esposizione nominale al rischio in grado di fare danni notevoli. Se non letali. Ma si sa, i derivati sono come le ciliegie, non ci si riesce a fermare. E, infatti, se nel 2007 – anno in cui fu decretato che quelle banche erano “too big to fail” – l’esposizione nozionale ai derivati era di 165 trilioni di dollari, alla fine del primo trimestre di quest’anno quella cifra era salita del 40%!

È questo il problema: le grandi banche, rappresentando un rischio sistemico, sono state salvate attraverso iniezioni di liquidità e acquisti di titoli tossici da parte della Fed, trasferendo il rischio finanziario privato alle casse dello Stato e trasformandolo, di fatto, in debito pubblico. Ecco il capitalismo a stelle e strisce che Romney era certo avrebbe autoregolato e risolto il problema! Potrà Obama andare avanti così ancora per altri quattro anni? Potranno i bankster continuare a fare miliardi, ammassando rischio sistemico con la garanzia statale di non poter fallire? Il tutto, alla vigilia del “fiscal cliff” di inizio anno? Io ne dubito.

Anche perché i contratti derivati sono armi a doppio taglio. La banca che li stipula si pone come controparte del rischio rispetto al suo cliente-contraente, il quale vuole coprirsi da un certo tipo di rischio, sia esso l’aumento dei tassi o quello del prezzo del petrolio. Una volta stipulato il contratto, la banca si trova con un nuovo rischio finanziario a cui fare fronte, il contratto derivato stesso. Che si fa, quindi? Ci si trasforma in clienti e si va presso un’altra banca per coprirsi dal rischio derivato, stipulando con la controparte un altro contratto derivato sul derivato: questo tipo di operazione, nel gergo finanziario è definita “bilateral netting”.

Nel solo primo trimestre di quest’anno, il sistema bancario americano ha fatto offset sul 91,8% delle suo rischio di esposizione ai derivati, insomma si è coperto dal rischio per la quasi totalità. Direte voi, perfetto. Peccato che esiste il cosiddetto rischio di controparte, ovvero la possibilità che chi deve garantire copertura alle banche dal rischio derivato vada a sua volta a zampe all’aria. E sapete chi sono le controparti di quel processo di copertura messo in atto dalle banche Usa? Mistero più totale. Il fatto è che con 222 triliardi di esposizione nozionale ai derivati, sono ben pochi i soggetti in grado di garantire il “bilateral netting” al rischio sui derivati del sistema bancario Usa.

Chi ad esempio? Bravi, proprio il sistema bancario europeo. Ma in quale percentuale? Mistero. Al netto dello stato di salute molto precario di vari istituti bancari continentali, viene da chiedersi quanto segue: se alcune di quelle banche controparte nel frattempo sono state o verranno nazionalizzate, la controparte di quei contratti diventano i vari governi nazionalizzatori? O magari la Bce e l’Ue, che stanno di fatto salvando il sistema bancario spagnolo, ponendosi come garante? Se così è, quei governi o entità onoreranno quei contratti o faranno default sul rischio di controparte, innescando il domino sul nozionale? Nessuno lo sa.

C’è poi il rischio sul collaterale, il quale in Europa sta diminuendo sempre di più e deteriorandosi di qualità ora dopo ora. Se salgono i tassi in Spagna, Italia, Portogallo, il valore del debito governativo di quei Paesi cala di prezzo e il collaterale si ridurrà sempre di più. Come l’assenza di collaterale in Europa possa eventualmente impattare sul castello di carte dell’esposizione ai derivati delle banche Usa resta un mistero, visto che non sappiamo per quale cifra gli istituti del Vecchio Continente siano implicati nel giochino.

Presidente Obama, non le pare il caso di mettere mano alla materia e mandare a quel Paese lobbies e loro accoliti? Serve pulizia immediata, chiarezza nelle cifre reali (da parte di tutti, banche europee comprese) e un nuovo Glass-Steagall Act per separare nettamente l’attività bancaria tradizionale (erogare credito e gestire risparmio) dall’investment banking su attività a rischio. Subito. Fatto questo, Barack Obama passerà davvero alla storia. Ma glielo lasceranno fare o farà la fine di Dominique Strauss-Kahn?





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