SPY FINANZA/ Letta attento, l’Italia resta nel mirino degli speculatori

- Mauro Bottarelli

L’Italia rischia un downgrade, ha scelto come commissario alla spendig review un ex Fmi e vede un pezzo di Finmeccanica pronto a passare in mani straniere. L’analisi di MAURO BOTTARELLI

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Ieri la Spagna ha piazzato sul mercato Bonos decennali con rendimento del 4,269%, il livello più basso dal settembre 2010, in discesa dal 4,503% dell’analoga asta di settembre. Madrid ha inoltre venduto Bonos a cinque anni e anche in questo caso il rendimento è risultato in calo, al 3,128% dal 3,477% precedente. In totale, sono stati collocati sul mercato 3,509 miliardi di euro, la soglia massima della forchetta preventivata, di titoli con una domanda solida su entrambe le scadenze: la bid-to-cover è passato a 2,0 da 2,6 nell’emissione quinquennale ed è rimasto invariato a 2 in quella decennale. Vorrei sapere chi e perché ha bisogno di aiutare la Spagna in questo modo, vorrei sapere perché ci si fionda sul mercato a comprare Bonos col badile.

Domande retoriche, ovviamente, visto che la risposta era già contenuta nel mio articolo di ieri: Draghi sta lanciandosi nella missione finale del suo mandato, tramutare la Bce nella Fed o in qualcosa di molto simile e sta inondando di liquidità le banche spagnole attraverso un abbattimento quasi parossistico dei criteri di eligibilità del collaterale (visto il livello delle sofferenze bancarie spagnole, gli istituti non hanno quasi più assets eligibili, quindi auto-emettono obbligazioni, se le fanno garantire dallo Stato, facendo salire la ratio del debito pubblico e poi le postano alla Bce, che paga cash). L’ha detto lui stesso nel corso della conferenza stampa di mercoledì pomeriggio: «Nessuno vuole che un incidente legato alla liquidità blocchi la ripresa». Ovvero, attenzione perché c’è un problema di liquidità latente che va risolto prima che comprometta i timidi segnali che stiamo vedendo sui mercati. Siete tutti avvertiti, Bundesbank in testa.

La parola d’ordine è sempre la stessa, non ancora pronunciabile per ora: Ltro, l’asta di rifinanziamento su cui stanno scommettendo i mercati, anche con segnali di pressione indiretta come il rally dell’euro sul dollaro mercoledì mentre parlava Draghi. Come dire, come si sgonfia una moneta troppo apprezzata che rischia di creare danni? Inondando di liquidità il mercato, la Fed insegna. La battaglia è di quelle campali, storiche, visto che la Germania ha piani molto chiari e, soprattutto, non intende perdere la sua leadership europea mettendo in discussione le politiche di austerity. A loro, l’attuale situazione va benissimo. Lo certifica il dato di Mercedes-Benz, casa automobilistica che lo scorso settembre ha registrato il suo record storico di vendite nel periodo temporale dei 30 giorni, un aumento del 15,9% garantito dalla domanda proveniente da Stati Uniti e Cina. Insomma, siamo in pieno equilibrio di instabilità e Draghi dovrà veramente dosare le ricette e mettere in campo tutta la diplomazia di cui è capace.

Anche perché sa benissimo, essendo italiano, che il nostro Paese è il vero elefante nella stanza dell’instabilità europea, nonostante l’epilogo quasi teatrale della crisi di governo vissuto mercoledì al Senato. E i segnali ci sono tutti. Primo, mentre tutti si attendono il downgrade di Fitch, è invece Moody’s a dire chiaro e tondo che «ci aspettiamo che l’Italia non riuscirà a mantenere l’obiettivo deficit/Pil al 3% nel 2013. L’instabilità politica è negativa a livello di credito, nonostante il voto di fiducia». Insomma, pressione addosso. Inoltre, il circo mediatico scatenato negli ultimi giorni ha depotenziato la portata sociale dell’aumento dell’Iva, confermato chiaramente da Saccomanni e in linea con quanto, nei fatti, imposto al nostro governo da Olli Rehn durante la sua visita a Roma. Anche sull’Imu, immagino, qualcosa cambierà.

E dopo la vendita di Telecom a Telefonica, ora è Finmeccanica a essere finita nel mirino degli investitori e degli appetiti esteri. Il titolo dell’azienda legata alla Difesa, infatti, ieri era in rally a Piazza Affari. Dalla chiusura del 30 settembre le azioni della società aerospaziale hanno messo a punto un guadagno complessivo del 21%, sull’ipotesi che sia trovata a breve una soluzione sulla cessione di Ansaldo Energia. Un ruolo chiave, secondo le indiscrezioni di stampa, potrebbe essere svolto dal Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Nei giorni scorsi peraltro il premier, Enrico Letta, ha incontrato i vertici di Cdp e di Finmeccanica. Non a caso, gli analisti di Banca Akros raccomandano di acquistare le azioni dell’azienda, per le quali hanno incrementato da 5,8 euro a 6,5 euro il target price, scommettendo su imminenti annunci di cessioni. Spero che il governo pensi molto bene a quanto sta per fare prima di farlo, essendo un’azienda strategica per il Paese e strettamente connessa ad argomenti come l’intelligence, la difesa, la ricerca aerospaziale: la golden rule c’è, ricordiamocelo prima di fare cose di cui potremmo pentirci.

C’è poi l’indizio più grande che sia già in atto un commissariamento: la nomina di Carlo Cottarelli, uomo che per 25 anni ha lavorato al Fondo monetario internazionale, a Commissario alla spending review. Ovvero, da Washington piomba a Roma un esperto di tagli e conti pubblici che proviene dall’istituzione-madre di tutti i piani di salvataggio e riforme, lo stesso istituto che la scorsa settimana ci ha irritualmente fatto capire che sarebbe il caso di accedere a un piano europeo di aiuto, prima che il peggioramento della crisi renda più difficile questa ipotesi. Non so voi, ma la cosa non mi lascia tranquillissimo. Cottarelli non userà il bisturi, temo, ma se riuscirà dove ha fallito Bondi, ovvero mettere a dieta l’elefantiaca spesa pubblica italiana (800 miliardi l’anno), allora la cosa sarà positiva e permetterà non solo di evitare aumenti delle imposte ma anche di intervenire su punti nodali come il cuneo fiscale e lo sblocco dei pagamenti alle aziende fornitrici della Pubblica amministrazione. Anche in questo caso, però, il passo tra sfruttamento positivo di una grande esperienza e perdita della sovranità rischia di essere breve: occorrerà vedere dove si andrà a incidere per capire come si colmerà quel gap.

Un’altra cosa mi fa pensare che l’attenzione dovrà restare alta, molto alta nei prossimi mesi, quelli che ci porteranno fino al semestre di presidenza europea. Non me n’ero accorto, me lo ha fatto notare un amico che è anche un esperto di finanza. Benoît Coeuré, membro del consiglio direttivo della Bce, a margine di una conferenza tenuta presso l’università Bocconi di Milano, ha dichiarato quanto segue: «La creazione di un meccanismo efficiente per risolvere rapidamente i problemi delle banche insolventi è un passo cruciale per rendere i costi delle crisi bancarie meno onerosi per i contribuenti. Sebbene il lavoro da fare sia molto, un quadro regolatore ben progettato e completo per la risoluzione bancaria, compresi i regimi di ricapitalizzazione che includano i creditori, attenuerà i fenomeni di rischi eccessivi». Ovvero, il modello cipriota, con obbligazionisti, azionisti e in extrema ratio i correntisti degli istituti di credito in questione chiamati a fare la loro parte, ovvero subire haircuts per evitare che siano gli Stati a dover pagare le ricapitalizzazione e le nazionalizzazioni.

Ora, che questa situazione sia il frutto marcio di vent’anni di pressoché totale inazione politica italiana, quando non di scelte completamente errate, è palese e innegabile, attenzione ora però a passare da un estremo all’altro, ovvero diventare pedissequi esecutori di scelte eterodotte per il semplice fatto che «ce lo chiede l’Europa». Cosa sia questa Europa, quali errori abbia commesso e quali disparità abbia reso possibili e tollerato lo sappiamo tutti, non tramutiamola di colpo nell’unico faro da seguire nella notte e nella nebbia. Anche perché così facendo si rischia di regalare l’ennesima chance a Silvio Berlusconi, il quale potrebbe essere tentato di portare lui il Pdl verso una scissione, lasciando l’ala moderata a sostenere il governo, evitandone così la caduta e dando vita a una campagna elettorale permanente con toni violentemente populistici e anti-europei, puntando a quel punto sul voto anticipato.

Il partito anti-euro Alternativa per la Germania non ha sfondato al voto del 22 settembre, restando fuori dal Parlamento ma racimolando comunque oltre il 4%, risultato pari a quello dei Liberali, in un Paese che è il cuore stesso dell’Ue e che sta beneficiando dell’euro da sempre, non patendone le distorsioni come i paesi del Sud. Attenzione a non compiere questo errore fatale. Che il mito della stabilità non si trasformi in autolesionismo. 





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