FINANZA E TLC/ Le verità scomode su 3-Wind e banda ultralarga

- Zaccheo

Insieme all'annuncio della fusione tra Wind e 3 Italia arriva l'avvio degli investimenti sulla banda larga. Due fatti che ZACCHEO intreccia nella sua analisi sulla telefonia in Italia

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Se nel cortile di un oratorio quattro ragazzi giocano al tiro alla fune e improvvisamente il sagrestano decide che i due più mingherlini, quelli che perdevano sempre, possono mettersi a tirare insieme, secondo voi il più grosso, quello che invece vinceva sempre, sarà contento oppure no? Probabilmente no. E allora come mai Telecom Italia si dice contenta della fusione fra 3 Italia e Wind? Pura menzogna diplomatica o realtà?

La soddisfazione per la fusione tra il terzo e il quarto operatore mobile del mercato telefonico italiano espressa da Giuseppe Recchi, presidente di Telecom, è sincera. E nasce dalla chiara consapevolezza di tutti che queste nozze comporteranno gradatamente – giusto con quella nonchalance necessaria per non mettere proprio un dito nell’occhio al torpido Antitrust europeo costringendolo a dire quel che dovrebbe dire, cioè un rotondo “no” – un rialzo delle tariffe al cliente. 

Fino a ieri – anzi, fin quando la fusione non sarà operativa – Wind e 3 Italia erano quelli che si facevano la più dura concorrenza a suon di sconti. Ogni tanto inseguiti da Tim e Vodafone con delle “fiammate” promozionali transitorie, che non cancellavano però la realtà di prezzi medi solitamente ben più alti. Ebbene: dopo la fusione, la base di riferimento delle tariffe minime sarà più alta. E questo permetterà alla società frutto della confluenza fra 3 Italia e Wind di migliorare i propri conti di ben 700 milioni di euro all’anno rispetto alla sommatoria dei loro attuali risultati da “single”. 

E se no dove li prenderebbero tanti soldi? Licenziando gente? Non scherziamo: tagli ce ne saranno, anche tanti, ma considerato che il costo del lavoro medio nel settore è di circa 60 mila euro all’anno, se quei soldi dovessero arrivare solo dai tagli all’organico, la società post-fusione dovrebbe licenziare 11 mila persone: quasi il doppio dei loro attuali organici!

Quindi, i prezzi aumenteranno. In sé, poco male. Si sopravvive benissimo telefonando un po’ meno.

Ma nel momento in cui il mercato della telefonia mobile italiana trova un nuovo assetto probabilmente più stabile (perché va detto che, senza fusione, prima o poi 3 Italia o Wind o entrambe sarebbero saltate) non bisogna lasciarsi sfuggire l’occasione di esercitare il “vizio della memoria”. E ricordarsi come e perché il Paese guida, in Europa, della telefonia mobile si ritrovi oggi ad avere prezzi in rialzo, solo tre operatori anziché i cinque che furono, e tutti stranieri (visto che ormai Renzi, per parlare del futuro di Telecom, deve farlo con uno straniero, il nuovo primo azionista finanziere Vincente Bollorè, famoso per i business “filantropici” sulla logistica portuale in Africa: dal Continente Nero non si muove un container senza che lui voglia).

Telecom Italia “partorì” Tim nel ’91 per gestire il lancio dei telefonini. Ne fece un’azienda-modello. Era ancora pubblica. Venne messa a bando la licenza per il secondo gestore, che vide un vasto concorso di pretendenti. Con scelta certo cristallina, da parte del responsabile (il ministro del Tesoro uscente Carlo Azeglio Ciampi), eppure molto molto antiestetica, l’assegnazione avvenne con firma apposta a governo ormai dimissionario a favore della cordata Omnitel, messa insieme da Carlo De Benedetti attorno alla sua macilenta Olivetti, e contro la ben più affidabile cordata Fiat-Fininvest. La leggerezza del governo fu affidare un business emergente a un finanziare focalizzato sul breve termine: e infatti nel ’97 De Benedetti cedette il 49% di Omnitel a Mannesmann, ponendo le basi per la successiva totale cessione all’estero dell’azienda.

A ogni modo, lo start-up di Omnitel ebbe del prodigioso. Coincise col boom del consumo di telefonia mobile. Gli italiani si scoprirono telefonino-maniaci. Tim cresceva, Omnitel galoppava. Tanto che nel ’95 l’Enel, per una lucida strategia dell’allora amministratore delegato Franco Tatò, decise di lanciarsi nella telefonia. Tatò pensava, giustamente (lo si vede oggi, che parlando di banda ultralarga l’Enel è tornato in campo), che mettendo i nuovi contatori elettronici in tutte le case sarebbe stato un gioco da ragazzi aggiungere nelle canaline elettriche i cavi di fibra ottica necessari a diffondere il super-Internet, e intanto con i telefonini la vastissima clientela elettrica del gruppo avrebbe potuto diventare anche clientela telefonica. 

Un bellissimo progetto, affossato dalle gestioni successive che vollero dapprima tagliare gli investimenti su Wind e poi venderla a qualsiasi costo, finendo con l’infliggere allo Stato un costo netto di ben 5 miliardi di euro (tra soldi investiti per free Wind e soldi incassati per la vendita) e lasciando che l’azienda venisse comprata a leva dal figuro Sawiris, che la impiombò di quegli stessi 10 miliardi di debiti che tuttora la frenano e le hanno imposto la fusione con 3. 

3 Italia a sua volta è nata sotto il peso enorme di 5.000 miliardi di vecchie lire spesi per acquisire la licenza Umts dallo Stato, un fardello dal cui peso schiacciante non è mai riuscita a sollevarsi. Nel frattempo, Telecom Italia veniva (da D’Alema) lasciata scalare a leva da Colaninno & C. il che l’ha impiombata di debiti, poi scippata a Tronchetti che forse l’avrebbe risanata e abbandonata al suo destino di facile preda degli stranieri, prima Telefonica e oggi Bollorè.

Di tutto questo scempio è stata capace la politica italiana in vent’anni. Se oggi non abbiamo banda larga a sufficienza e se le nostre tariffe, che almeno erano basse, saliranno, sappiamo a chi dire grazie.

E veniamo all’ultimo punto, che s’incrocia con la maxifusione 3-Wind: quello della banda ultralarga. Come al solito Renzi stra-promette e stra-decanta tutto quel che fa. Ha stanziato 2 miliardi pubblici, e questo è vero ed è poco, ma meglio che niente, e ha presentato un piano da 12, includendovi 5 miliardi privati di Telecom! Ma le regole per far funzionare tutto ciò, permettendo gli scavi stradali necessari alla posa della fibra ottica, non sono state ancora scritte. Lo saranno mai, dopo vent’anni di “melina” degli ambientalisti?

Infine, la banda larga di domani è fibra ottica, ma anche e soprattutto telefonia mobile. L’Italia ha limiti di elettrosmog 4 volte più severi di quelli europei. Una norma che il governo promette di cambiare da un anno. La cambierà? Di sicuro c’è che anche Renzi e i suoi sul tema della telefonia hanno fatto moltissimo discutere e pochissimo decidere. La svolta è solo quest’ultima del Cipe: ma la sua esecuzione andrà monitorata attentamente.





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