CRISTIANI UCCISI/ Abdel Fattah (Fratelli musulmani): la nostra amicizia è più forte dell’odio

- int. Abdel Fattah Hasan

Dopo la strage di Capodanno ad Alessandra d’Egitto, costata la vita a 21 cristiani copti, parla ABDEL FATTAH HASAN, ex parlamentare dei Fratelli musulmani

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«Davanti a questa strategia di violenze che ha di mira i cristiani, e ha conseguenze su tutta la popolazione, prego per le vittime e i familiari e incoraggio le comunità ecclesiali a perseverare nella fede e nella testimonianza di non violenza che ci viene dal Vangelo». Lo ha detto ieri Benedetto XVI all’Angelus, riferendosi alla strage di cristiani copti nella notte di Capodanno fuori dalla chiesa dei Santi in Alessandria d’Egitto, e costata la vita a 21 persone.

La violenza anticristiana dunque non si placa. Il 31 ottobre scorso a Baghdad un attacco dei qaedisti contro una chiesa siro-cattolica della capitale irachena costò la vita a 67 persone. In quella circostanza Al Qaeda dichiarò che avrebbe di nuovo colpito i cristiani poiché due donne, mogli di ecclesiastici copti e convertite all’islam, erano segregate proprio dai cristiani. L’iniziativa sarebbe stata raccolta da un gruppo estremista, Al Mujahedin, che ieri sera ha rivendicato l’attentato. Già noto ai governi locali per essersi associato nella rivendicazione dell’attentato a Sharm El Sheikh del 2005, potrebbe essere in contatto con la stessa Al Qaeda e altri gruppi radicali operanti nella regione.

Intanto ieri ad Alessandria ci sono stati altri scontri tra cristiani copti e musulmani e la situazione rimane tesa. Sabato il presidente egiziano Mubarak aveva esortato cristiani e musulmani all’unità, mentre i cristiani avevano subito accusato il governo di non proteggerli. «Hanno ragione» dice al sussidiario Abdel Fattah Hasan, docente di lingua italiana ed ex parlamentare dei Fratelli musulmani. «Il sangue di questo delitto ha colpito nel cuore tutti gli egiziani, e i musulmani di fede autentica provano dolore e sdegno» dice Fattah Hasan. Che rivolge gravi accuse al ministro dell’Interno.

Abdel Fattah Hasan, qual è ora la situazione nel paese e l’opinione prevalente su quanto è accaduto?

«C’è un senso diffuso di sdegno per un delitto così atroce. Il sangue di questo delitto ha colpito nel cuore tutti gli egiziani, musulmani e cristiani. Noi musulmani proviamo un senso di grande tristezza, e siamo partecipi del dolore di tutti i cristiani che hanno perso i loro cari. Estendiamo le nostre condoglianze ai fratelli cristiani dell’Egitto e a quelli di tutto il mondo. Non possiamo che condannare nel modo più assoluto questo atto di violenza».

Che cos’hanno detto le autorità religiose islamiche?

«Ieri tutte le correnti religiose, sociali, insieme alle associazioni caritatevoli hanno condannato con fermezza questo delitto. Nessun egiziano può accettare questo fiume di sangue. Io stesso ieri ho avuto una conferenza pubblica al Cairo e come musulmano praticante mi sono vestito a lutto. È stata ferita la convivenza pacifica delle nostre fedi, sono stati barbaramente uccisi uomini di fede diversa dalla nostra che reputiamo nostri fratelli e che convivono pacificamente con noi da millenni. Il dramma non deve però esimerci da considerazioni politiche».

Che cosa intende dire?

«Il pericolo di attentati era alto, la soglia di attenzione doveva essere più elevata. Si sapeva di minacce provenienti da gruppi terroristici, compresi gruppi di Al Qaeda, e proprio per questo i segnali di pericolo andavano presi molto più sul serio. La realtà è che le bombe hanno ucciso tanto quanto la vergognosa trascuratezza di chi non ha tenuto alta l’allerta».

 

La sua è un’accusa molto dura. Il presidente Mubarak ha esortato cristiani e musulmani all’unità, ma i cristiani hanno detto che il paese non fa niente per proteggerli. Hanno ragione?

 

«Sì. Se noi, come Fratelli musulmani, fossimo in parlamento, avremmo certamente chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno. La responsabilità per la mancata prevenzione e protezione ricade tutta su di lui. Le sue mani sono sporche del sangue di queste anime innocenti, e ora Mubarak dovrebbe cacciarlo».

 

Lei che idea si è fatto della responsabilità dell’attentato? Il governatore di Alessandria ha accusato Al Qaeda, mentre il ministro dell’Interno crede all’ipotesi di gruppi radicali esterni…

 

«Può essere che l’attentato sia frutto di criminali o estremisti che stanno fuori dal paese, magari servendosi della complicità di gruppi egiziani. Ma, da musulmano, mi faccio una domanda che in tanti si sono posti: come mai c’erano tre, quattro macchine parcheggiate vicino alla chiesa? Chi le ha autorizzate? Al Qaeda ha minacciato poco tempo fa di mirare alla distruzione dei luoghi di culto dei nostri concittadini cristiani. Sapendo che così tanti erano in chiesa, la necessità di garantire la sicurezza imponeva almeno misure minime».

 

Da quello che dice lei non sembra credere all’ipotesi di un attacco suicida, perché?

 

«Le prime indagini hanno parlato di un ordigno di almeno 50-60 chili, che dunque va collocato sul posto e fatto saltare a distanza. Un attentatore suicida non è in grado di provocare così tanti morti. Questa è un’ipotesi che le forze di sicurezza cercano di legittimare per coprire i loro errori».

 

Perché Alessandria?

«Ad Alessandria la convivenza tra musulmani e cristiani è radicata più che in qualsiasi altra città del paese. La tolleranza è reciproca e la commistione delle fedi sorprenderebbe qualsiasi occidentale abituato a ragionare in modo manicheo. Non è normale trovare, come qui, una moschea a due passi da una chiesa cristiana. Al Cairo questo gioco sporco non sarebbe stato possibile e infatti non è la prima volta che Alessandria viene scelta come obiettivo. E non è un caso che dopo l’attentato, in un clima di rabbia e disperazione, i cristiani si siano scagliati contro i musulmani».

 

Secondo lei come si lega quest’ultimo attentato ai recenti fatti di sangue di cui sono stati vittime i fedeli cristiani?

 

«In Iraq, in Nigeria, in Egitto il primo scopo dei criminali estremisti è di creare il panico, alimentando un clima di paura crescente tra i cristiani che vivono in questi paesi. È interesse dei terroristi alimentare le divisioni settarie per far crescere sospetto e inimicizia. Essi sono il miglior terreno di coltura per la non accettazione dell’altro. Una trappola che ha un prezzo altissimo in termini di vite umane».

 

Torniamo in Egitto. Che rapporto c’è tra la strage di sabato e la situazione politica che l’Egitto sta attraversando in questo momento?

 

«L’attuale situazione di stallo politico può avere un ruolo, certo, ma solo nel facilitare l’iniziativa altrui, come quella di forze esterne al paese che decidono di approfittarne. Ci sono per esempio reti di spionaggio che sono saltate: o Al Qaeda, o membri di queste reti hanno voluto mandare un messaggio al governo: dato che hai arrestato dei nostri uomini, ti diamo una lezione. Tutto questo aggrava, come dicevo, la responsabilità del ministero dell’Interno».

 

Cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro?

 

«Sappiamo che gruppi estremisti, non so se con la complicità o meno di forze di sicurezza deviate, hanno dichiarato di voler prendere di mira i luoghi di culto dei cristiani. Occorre fare attenzione a tutti i segni di allarme e di instabilità, da qualunque parte provengano. Sorvegliare Al Qaeda, come tenere d’occhio certi elementi del Mossad che reclutano giovani egiziani in povertà usandoli per i loro scopi. Ma noi musulmani abbiamo a cuore la pace, e faremo di tutto per contrastare la violenza».

 

(Federico Ferraù)

 





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