SIRIA/ Un Paese ostaggio di Al Assad e del progetto “grande Siria”

- int. Giuseppe Bettoni

Solo un piano militare, dice GIUSEPPE BETTONI, potrebbe convincere Al Assad a lasciare il potere. La diplomazia non servirà a nulla con la potente minoranza degli Alawiti

assad-R400 In Siria (InfoPhoto)

Il Regime siriano potrebbe trovarsi a rispondere davanti alla Corte Penale Internazionale dell’Aja. L’Alto commissario per i Diritti dell’uomo Navi Pillay ha infatti, durante una sessione straordinaria del Consiglio dei Diritto dell’Uomo richiesta dall’Unione Europea e Stati Uniti, accusato il regime di Bashar Al Assad di “crimini contro l’umanità” per le atrocità compiute pochi giorni fa ad Houla. Si parla, infatti, di crimini contro popolazione civile innocente, perpetrati in totale impunità. Nello scorso fine settimana l’esercito siriano ha compiuto diversi raid nella zona di Houla, uccidendo almeno 90 persone, di cui 49 bambini sotto i dieci anni. A testimoniare l’eccidio un video postato su Youtube che mostrava i piccoli corpi inermi che giacevano in un luogo non definito. Con quella di oggi, dal marzo 2011, la Commissione Onu si è riunita tre volte per discutere delle violenze che stanno sconvolgendo il Paese. E mentre la diplomazia internazionale è al lavoro, come ogni giorno, il bollettino è da aggiornare con nuove vittime. Un video mostra i corpi di dodici operai che mentre tornavano dal lavoro nei pressi di al-Qusayr, al confine con il Libano, sono stati assassinati. “ Le relazioni internazionali non sono in grado di spiegare il conflitto in Siria, dice a Il Sussidiario.net Giuseppe Bettoni, professore di Geo Politica all’Università di Tor Vergata, spiegano quali sono i rapporti fra gli attori ma non ciò che accade in Siria, altrimenti non si capirebbe perchè un Paese che non ha peso economico o idrico importante, venga riconosciuto come un leader dell’area. Occorre capire la sua storia, legata a doppio filo con la famiglia Al Assad, a sua volta, legato ad una comunità potentissima, gli Alawiti.”.

Dipende quindi dalla famiglia Al Assad se la “primavera siriana” non riesce a trovare il suo termine, come è successo in Tunisia, Libia ed Egitto?

La Siria ha un progetto completamente diverso. Dobbiamo tornare indietro ai tempi dell’Impero Ottomano, quando il Paese era destinato ad incarnare un impero che andava dalle montagne della Turchia sino alla Libia se non addirittura alle coste Atlantiche: un ambizioso progetto di una “grande Siria” ancora agognato da Bashar Al Assad e infatti occorrerà capire cosa succederà dopo la sua fine e chi prenderà questa eredità.

Cosa succederà se verrà deposto?

La situazione è molto complicata perchè il Paese è diviso fra fazioni e minoranze: i Drusi e i Sunniti che ad oggi sono la comunità più potente, gli Alawiti nella parte nord del Paese. Questi ultimi sono tutta quella classe media che la stessa famiglia Al Assad ha cresciuto nel Paese: è tutta la parte Sciita che è in accordo con i Drusi e che protegge tutta la comunità cristiana, che annovera un buon numero di persone. Questi sono una minoranza ma hanno detenuto sin da subito il potere: alla fine della Seconda Guerra Mondiale la parte che aveva una grande importanza nel Paese era l’Aeronautica, dove più o meno erano di minoranza Alawita. Avendo cacciato i francesi, questa comunità si è letteralmente seduta sul potere e si è ritrovata a guidare un intero Paese. Se Bashr Al Assad lascia il potere, subentra la minoranza Alawita, che non vorrà lasciare il potere alla mercè dei Sunniti. Non lasceranno facilmente perchè sanno perfettamente che la loro vita sarà in pericolo, così come i cristiani che paradossalmente sono dalla parte di Bashar Al Assad.

 

Dunque?

 

La chiave di volta non è la famiglia Al Assad. E’ diverso dal decapitare Ghedaffi o cacciare Ben Alì. O dall’Egitto dove l’esercito ha negoziato con gli Stati Uniti, che gli fornisce un miliardo di dollari all’anno, per la deposizione di Mubarak.

 

Secondo lei come si potrà raggiungere la pace. Dove hanno fallito sino ad ora Onu e Lega Araba?

 

La prima questione riguarda i tempi. Bashar Al Assad ha acquistato un grande credito quando si è cominciato a bombardare Saddam Hussein: è diventato un interlocutore non solo valido ma privilegiato prestando gli aerei del proprio esercito per bombardare i territori iracheni. Da lì è tornato tutto il progetto della “Grande Siria”, agognato per anni ed ora, quasi legittimato dagli altri grandi del mondo. E’ questo il motivo per cui Al Assad non vuole lasciare. Ed è questo il motivo per cui ora la diplomazia internazionale non può metterlo da parte, dopo averlo fatto sedere ai tavoli decisionali più importanti.

 

Dunque, qual è la via per la fine del conflitto?

 

Personalmente non credo che Al Assad lasci tutto. Ora, l’ultima ipotesi è che Putin lo convinca a lasciare il potere, ma sono persuaso del fatto che non lo farà mai: solo l’avviso di un bombardamento a tappeto, potrebbe convincere al Assad ad andarsene. Solo la pressione militare vera potrà convincerlo a lasciare il potere poiché ha sulle spalle il peso di un’intera comunità, quella Alawita.

 

La diplomazia quindi non funzionerà?

 

La diplomazia funzionerà solo quando verrà presentato ad Al Assad un plastico in cui verranno segnate punto per punto le zone da bombardare e un piano militare per attaccare il Paese. Ma questa non è più diplomazia, è minaccia. Occorre quindi chiedersi se è il caso di intervenire militarmente in Siria.  







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