CAOS SIRIA/ I segreti del “buco nero” (pagato da Trump) al confine con la Giordania

- Patrizio Ricci

Ad al Tanf, in prossimità del confine siro-giordano, gli Usa hanno costituito una zona sotto il loro controllo in cui addestrano ex miliziani dell’Isis sconfitto. PATRIZIO RICCI

siria_guerra_ribelli_lapresse_2017 LaPresse

Il 27 dicembre il capo di stato maggiore delle forze armate russe Valery Gerasimov ha rivelato in una intervista che gli Stati Uniti stanno addestrando miliziani dell’Isis transfughi dalle località siriane di Deir Ezzor e Raqqa. Di questi, 350 sarebbero addestrati nella località di al Tanf, in prossimità del confine siro-giordano nella parte meridionale della Siria. Invece, ulteriori 750 ex-miliziani di Daesh starebbero svolgendo la preparazione presso la località di Al-Shaddadi, situata in provincia di Hasaka (sulla riva est dell’Eufrate). Secondo il gen. Gerasimov i miliziani dello stato islamico, terminato il training, saranno inquadrati nel New Syrian Army (Nsa), la nuova forza addestrata dagli americani per proseguire la lotta contro le forze regolari siriane. In quest’ultimo caso c’è da rilevare che anche alcuni cittadini di Hasaka hanno confermato la presenza di elementi dell’Isis nel campo di addestramento di al Shaddadi. 

In particolare, al Tanf (una delle due località segnalate con campi di addestramento) si presta ad uno scenario come quello descritto. In proposito è utile sapere che gli Usa hanno proclamato in modo unilaterale la zona di al Tanf, situata in territorio siriano (per un raggio di 50 km dalla base), off-limits per le forze governative. Di conseguenza, in due differenti occasioni, quando l’esercito governativo siriano e le forze alleate si sono inoltrate nell’area per riprenderne possesso (e impedire così che i terroristi continuassero a sfruttare la zona come rifugio sicuro per attaccare le provincie vicine), è intervenuta l’US Air Force a difesa delle milizie ribelli. 

A seguito di questa situazione, i russi considerano la zona desertica di al Tanf — in cui non esistono insediamenti urbani — un “buco nero”, una fucina di terroristi che viene costantemente alimentata dal più grande campo profughi siriano che si trova a 16 km dalle base Usa. Stiamo parlando del campo profughi di Rubkan che ospita circa 50mila civili e si trova in pieno deserto. E’ noto che tra gli sfollati nel campo trovano rifugio numerosi gruppi ribelli, e tra questi anche membri dell’Isis fuggiti da Deir Ezzor e Raqqa. Allo stesso modo è noto anche che la situazione di massimo degrado del campo (segnalato anche da Amnesty International e da Terrasanta.net), crea disperati e si presta al reclutamento da parte dei vari soggetti. Tale reclutamento avviene puntualmente, a prescindere che si tratti di fuoriusciti o meno dell’Isis. Ad aggravare la situazione c’è il divieto assoluto alle organizzazioni umanitarie di entrare nel campo, sorvegliato a vista dai miliziani di varie sigle anti-Assad.

Data la gravità di questi fatti, si potrebbe pensare che le dichiarazioni del capo di stato maggiore siano speculazioni dirette contro gli Stati Uniti nel contesto della proxy war tra le due superpotenze in Siria. Tuttavia esistono elementi che rafforzano le dichiarazioni di Gerasimov. Infatti, la segnalazione dell’alto ufficiale ha riferimenti ben precisi e sposa le evidenze illustrate su queste pagine in ottobre scorso e successivamente evidenziate nel reportage della Bbc “Raqqa Dirty Secret. In entrambe le occasioni sono stati resi pubblici accordi “poco chiari” intercorsi tra le forze della coalizione che fanno capo all’operazione “Inherent Resolve” ed Isis. In particolare, in virtù di quell’accordo segnalato dalla Bbc, i miliziani dell’Isis sono stati lasciati liberi di esfiltrare indenni da Raqqa (con al seguito tutti i loro armamenti) per continuare a combattere contro l’esercito siriano a Deir Ezzor o ritornare nei rispettivi stati di partenza. L’esistenza di accordi con lo stato islamico è stata in seguito ulteriormente confermata da Talal Silo, il portavoce delle forze curde delle Syrian Democratic Forces impegnate a nord dell’Eufrate contro Isis (vedi “Defector says thousands of Islamic State fighters left Raqqa in secret deal“). La linea statunitense di usare l’Isis per esercitare pressioni su Assad è stata confermata a suo tempo dal segretario di Stato J. Kerry.

Si capisce bene allora che in fondo non c’è nulla di nuovo nelle dichiarazioni di Gerasimov. Del resto, le forze statunitensi non negano che le milizie addestrate nelle due località indicate siano destinate a proseguire la guerriglia antigovernativa.

Per questo fine è stato già approvato da Trump Il 12 dicembre un apposito stanziamento a bilancio valido per tutto il 2018. La voce finanziata porta il nome di “opposizione al potere siriano”. Essa prevede l’invio in Siria alle varie forze sotto patrocinio Usa di migliaia di lanciarazzi anticarro, missili a ricerca di fonte di calore e lanciarazzi. Comprende inoltre 300 veicoli non tattici, 60 veicoli non standard e 30 veicoli terrestri per assistere alla costruzione di avamposti o aree di staging operativo. La spesa complessiva sarà di 500 milioni, sta a dire circa 70 milioni di dollari in più rispetto al 2017 quando l’Isis è stato quasi del tutto sconfitto. 

Quindi, indipendentemente che si creda o meno a quando dichiarato da Gerasimov, è comunque noto che la soluzione politica sostenuta a lungo dalla Casa Bianca “si basa su uno scenario che privilegia un eventuale stallo tra le fazioni in guerra piuttosto che prevalenza di un chiaro vincitore” (Washington Post). 

Sotto un’altra ottica, ciò non vuol dire altro che le enunciazioni di principio sui diritti fondamentali continueranno sistematicamente a essere rinnegati “dopo aver fatto i conti”. E che i nemici creati a tavolino per soddisfare segrete ambizioni di potere, rimarranno tali.





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