LA STORIA/ Sonia, la badante peruviana che si inventa imprenditrice dell’auto

- La Redazione

Venuta in Italia per finanziare una scuola, SONIA URQUIZO, ha iniziato come badante per poi iniziare una grande avventura imprenditoriale. Sabato a Milano riceverà il Premio San Bernardo

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Migliaia di migranti in queste settimane hanno raggiunto le nostre coste a bordo di barche di fortuna, sfidando il mare per sfuggire alla povertà, alla corruzione e all’incertezza.  Guardando le loro immagini in televisione colpisce il fatto che quasi nessuno abbia un bagaglio con sé, anche se tutte quelle persone hanno una storia che non verrà raccontata e un desiderio di farsi una vita migliore in Europa.
La questione degli extracomunitari che vengono nel nostro paese però va molto oltre questa emergenza, è un dato di fatto con il quale bisogna confrontarsi. Fare finta di niente non aiuta l’integrazione, condizione unica per mettere gli stranieri nelle condizioni di contribuire al benessere della nostra società integrandosi socialmente ed economicamente.

A Milano sono quasi 20 mila le imprese di extracomunitari registrate in Camera di Commercio. Un numero che colpisce chi non si interessa di questo fenomeno. L’integrazione non può essere un programma politico né un obbiettivo da perseguire ad ogni costo; è piuttosto un processo che si concretizza giorno dopo giorno attraverso l’impegno di chi ha scelto l’Italia per farsi una vita migliore. Una di queste persone è Sonia Urquizo, giovane imprenditrice peruviana venuta in Italia nel 1998 per trovare risorse finanziarie per la scuola che aveva aperto a Lima 7 anni prima. Sonia parla un ottimo italiano con un po’ di accento spagnolo. “In quegli anni trovare credito in Perù era una impresa quasi impossibile. Le banche chiedevano garanzie più alte del prestito che gli avevi chiesto. Ho deciso di venire in Italia perché qui c’erano delle mie amiche, perché la lingua è simile allo spagnolo e perché anche io sono cattolica”.

Che cosa ti ha spinta a lasciare il tuo paese e la tua famiglia?

“Volevo ingrandire la mia scuola, aprire le classi superiori dopo l’asilo e le elementari, con computer e laboratori ma non sono mai riuscita a trovare qualcuno disposto a credere nel mio progetto anche se la scuola andava bene e c’erano sempre più studenti. Ho deciso di fare i documenti necessari per andare all’estero, (che costava 5 mila dollari) e di venire in Italia anche se sapevo che, almeno all’inizio, avrei dovuto accettare qualunque lavoro per quanto umile e poco retribuito”.

Qual è stato il tuo primo lavoro?

Arrivata qui lavoravo come governante in una casa di una famiglia di Milano e dovevo curare tre bambini. La signora era gentile ma il lavoro non era semplice e lo stipendio basso, guadagnavo circa 600 mila lire al mese. A quel tempo mi dovevo accontentare perché parlavo pochissimo italiano. Purtroppo però mi sono ammalata  sono stata ricoverata e la famiglia presso la quale lavoravo ha dovuto cercare un’altra persona. Per fortuna qualche tempo dopo sono riuscita a trovare lavoro come badante nella casa di due anziani. Lo stipendio era più alto ma talvolta, lavorare per persone anziane è duro. Lo stipendio di fine mese era l’unica ragione che mi portava a tenere duro. In quel periodo però ho cominciato a studiare il diritto del lavoro delle badanti e questa è stato l’inizio della mia nuova vita.

Com’è andata?

Avevo iniziato a studiare la legislazione del lavoro per capire bene quali fossero i miei diritti e i miei doveri.  Non sono avvocato ma sono riuscita a farmi una buona cultura anche perché ogni storia ha caratteristiche uniche. Ho iniziato ad aiutare gratuitamente le mie amiche, poi le loro amiche e poi la voce si è diffusa. Dopo 3 anni ho capito che avrei potuto aprire uno studio di consulenza per aiutare gli immigrati a gestire tutte le questioni burocratiche, dal ricongiungimento familiare ai diritti del lavoro alle domande di permesso di soggiorno. Ad un certo punto pagavo un uomo che facesse la fila di notte davanti alla questura al posto mio e dei miei clienti. Non lavoravo solo per peruviani, ma anche per persone di altre nazionalità, persino cinesi.

Per che cosa ti chiedevano aiuto?

A un certo punto mi chiedevano aiuto per tutto, anche per andare in banca a chiedere un mutuo, perché grazie ai rapporti che avevo creato con una direttrice riuscivamo a superare tutti gli ostacoli burocratici. Poi hanno iniziato a rivolgersi a me anche per acquistare una macchina. Avevo conosciuto un concessionario di auto con il quale ero riuscita a creare un sistema utile per tutti: per lui perché entrava in un mercato molto grande e non facilmente accessibile, ma anche per gli extracomunitari perché, conoscendo le loro esigenze e caratteristiche particolari l’acquisto e i finanziamenti arrivavano in modo più fluido. Quando il proprietario di quello che oggi è il mio negozio ha lasciato l’attività mi ha proposto di rilevarla ho accettato.

Oggi la SoniaCars di via Casoretto in zona Lambrate è una realtà che da lavoro a tre dipendenti, di questi due sono Italiani.







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