MILANO JAZZIN’ FESTIVAL/ Ringo Starr, “Peace and Love” e il fantasma dei Beatles…

- Paolo Vites

Ringo Starr in Italia diciannove anni dopo l'ultimo concerto. È sempre tempo di "Peace and Love" per l'ex batterista dei Beatles. La recensione di PAOLO VITES

ringo2_R400 Ringo Starr, foto di Filippo De Orchi

“Peace and Love”. Dal momento in cui Ringo Starr sale sul palco del Milano Jazzin’ Festival non smette mai di fare il caratteristico simbolo della vittoria con le dita della mano, gesto iconico degli anni Sessanta, così come la frase “pace e amore” che Ringo scandisce a intermittenza continua. Fa un certo effetto vedere questo settantenne (peraltro in forma fisica smagliante, ne dimostra tutt’al più 50) ancorato a certa simbologia. Anzi, fa tenerezza. Per di più in un giorno in cui dalla Val di Susa arrivano le notizie di scontri e violenze tra giovani e forze dell’ordine. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando una generazione, quella di Ringo Starr appunto, sognava “Peace and Love” e ancora ci crede, nonostante l’età, e una generazione disperata, nera come le t shirt che indossa e il nome che si è data, “black bloc”. Davvero pace e amore è rimasta solo un’utopia per vecchi, un’utopia fatta deragliare da cattivi maestri che ai giovani hanno insegnato solo a tirare pietre, spaccare vetrine e fabbricare bombe carta. Ma Ringo Starr ci crede ancora, e noi, i pochi spettatori (circa 1500) accorsi ieri sera al secondo appuntamento del Milano Jazzin’ festival, ci crediamo pure.

Quando, nel finale, le note immortali di With a Little Help From My Friends sfumano in quelle ancora più immortali di Give Peace a Chance e Ringo, la faccia buffa dei Beatles, grida forte “Peace and love, è l’unica cosa che conta, ricordatevelo sempre”, siamo davvero lontani dai gas lacrimogeni della Val di Susa. Dal punto di vista strettamente musicale, va detto che quest’ultima edizione della Ringo Starr All Starr Band non è certo la migliore delle tante, anzi decisamente la peggiore. Se in passato aveva avuto al suo interno musicisti di vaglia come Timothy Schmidt e Joe Walsh (Eagles) o Rick Danko e Levon Helm (The Band) e ancora, Clarence Clemons e Nils Lofgren (E Street Band), adesso Ringo si è affidato a nomi pressoché sconosciuti. E cioè: Wally Palmar dei Romantics, band degli anni Ottanta; Rick Derringer, noto per un solo hit nel 1965 quando militava nei McCoys, Hang On Sloopy; Edgar Winter, fratello del più famoso Johnny, noto solo per, come ricorda lui, essere stato il primo musicista rock a suonare delle tastiere appese al collo con la cinghia, il che poi non è motivo di gran vanto; Gary Wright, che in passato suonò anche con George Harrison e lo stesso Ringo e infine Richard Page, cantante dei Mr. Mister, gruppetto bolso degli anni Ottanta.

Tant’è. Come da stile delle All Starr Band, ogni musicista esegue un paio di pezzi: si ricordano solo la divertente Hang On Sloopy e la fusion jazz rock di Frankestein di Edgar Winter. Perché comunque il motto è sempre quello: sul palco ognuno è una star. Ma ovviamente siamo tutti qua per vedere il batterista dei Beatles, che nel corso del concerto non li citerà mai, usando invece la frase “Questa è una canzone di un gruppo in cui ho suonato”. Al che veniva voglia di rispondergli: “I Rolling Stones?”. Primo pezzo in scaletta It Don’t Come Easy, primo hit single di Ringo dopo la fine dei Beatles, prezzo sempre dal grande impatto emotivo. Per tutti gli snob che lo hanno sempre considerato solo uno sfigato, Ringo Starr era già ai tempi dei Beatles un ottimo drummer, e oggi lo è ancora di più, seppur coadiuvato da Gregg Bissonette che dà man forte.

Preciso e tirato come un metronomo, come dovrebbe essere ogni autentico batterista rock’n’roll. In mezzo al concerto, Starr butta qualche altro pezzo della sua carriera solista, come la bella Photograph del 1973, o Back Off the Boogaloo, del 1972, poi dice: “Se non conoscete questa canzone, siete nel posto sbagliato”. E via con Yellow Submarine, ed è gran festa. Il primo colpo al cuore era arrivato però con I Wanna Be Your Man, il primo pezzo che i Beatles fecero cantare a Ringo. A giudicare dalle facce di certi spettatori over 60, sembrerebbe di essere ancora al Vigorelli 1965, quando i Beatles tennero lo storico concerto. Emoziona anche sentire un pezzo dal repertorio pre Beatles di Ringo, quando suonava con Rory Storm and the Hurricanes, e cioè Boys. Il Mersey Beat che approda quarant’anni dopo all’Arena di Milano.

Ringo si alterna tra pezzi suonati e cantati alla batteria e altri al microfono, con quel suo tipico modo di muoversi e ballare scoordinato, ma vibrante. Dopo Act Naturally, brano che Starr incise nel leggendario “Help!” dei Fab Four, arriva il gran finale con le emozioni più grosse e i brividoni. With a Little Help From My Friends in medley con Give Peace a Chance ferma davvero il tempo. Saremo dei vecchietti nostalgici, noi qua sul prato e lui sul palco, ma “Peace and Love” è sicuramente meglio delle mazze e delle pietre della Val Susa. “Peace and love”, Ringo.







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