Formula 1/ Alfonso de Portago. Marchese, pilota, bobbista, fantino: una storia d’altri tempi (e di altre piste)

- Massimo Piciotti

Formula 1, Alfonso de Portago: il ricordo di MASSIMO PICIOTTI del pilota spagnolo morto nella Mille Miglia del 1957. Marchese, pilota Ferrari in Formula 1, fantino, bobbista a Cortina 1956

portago Alfonso de Portago in azione (da Facebook)

Alfonso Antonio Vicente Eduardo Blàs Francisco de Borja Cabeza de Vaca y Leighton, XVII Marchese de Portago, Marchese di Moratalla, XII Conte della Mejorada, Conte di Pernia, Duca di Alagon, settimo pretendente in ordine gerarchico al trono e Grande di Spagna. Per gli amici soltanto “Fon”. La storia di Alfonso de Portago è una delle più affascinanti e romanzesche fra quelle che si possono incontrare nell’incredibile galleria di coloro che a rischio della propria vita hanno solcato le piste di tutto il mondo negli oltre sessant’anni di storia della Formula 1. Di madre irlandese, suo padre era stato ministro dell’istruzione, sindaco di Madrid e padrino di battesimo del figlio del re Alfonso XIII di cui era amico personale e in onore del quale scelse il nome al proprio unico figlio maschio. Era eroe di guerra, sportivo e occasionalmente attore, Antonio Cabeza de Vaca, che morì nel 1941 a causa di un malore mentre partecipava ad una partita di polo. Suo figlio Alfonso nacque a Londra nel 1928, ma visse tutta la giovinezza a Biarritz, in Francia: la sua famiglia aveva infatti scelto l’esilio volontario alla destituzione del re nel 1931 durante la Rivoluzione Spagnola. Alfonso era uno strepitoso sportivo “all-around”: a Biarritz possedeva dei cavalli e la famiglia gli permise di allestire una scuderia in proprio. Partecipò ad alcune gare ippiche fra gentiluomini e da lì iniziò una incredibile ascesa: a vent’anni divenne così uno dei più forti fantini dell’epoca, protagonista in Francia ed Inghilterra. Nel 1951 disputò circa cento corse vincendone trenta e conquistando il campionato per gentleman-driver, cosa che si ripeté anche nei due anni successivi. Partecipò due volte alla più celebre ed ardimentosa corsa ad ostacoli, il Grand National Trophy ad Aintree, ma lasciò l’ippica quando si rese conto “che non era abbastanza pericolosa”!. Prese il brevetto di volo negli Stati Uniti a 17 anni, ma gli fu ritirato dalle autorità quando per una scommessa passò col suo velivolo sotto un ponte. Divenne nuotatore di livello internazionale, soprattutto nella specialità del gran fondo. Si cimentò con successo nel polo e nell’atletica leggera. Nel ’55 prese una “sbandata” per il bob e fondò la Federazione Bobbistica Spagnola: partecipò in questa disciplina ai Giochi Olimpici invernali di Cortina d’Ampezzo del 1956 finendo quarto e ai Campionati Mondiali di specialità a St. Moritz nel ’57, finendo terzo dietro al grande Eugenio Monti pochi giorni prima del suo incidente mortale. Detenne per anni anche il record di discesa con lo slittino ventrale – lo skeleton – dal mitico toboga naturale “Cresta Run” di St. Moritz. Come tutte le sue passioni anche quella per le auto fu fulminea: il suo amico Ed Nelson, giornalista ed ex-surfista americano che abitava ad Honolulu, lo accompagnò ad una corsa “Midget” in Francia – una sorta di speedway a quattro ruote – e disse all’amico: “Fon, prova un po’ uno di questi affari!”. Fon salì sull’affare, partì e vinse la corsa. Fu un vero colpo di fulmine. Acquistò alcune Ferrari da competizione con l’altro suo strettissimo amico Harry Schell, “l’americano di Parigi”, e di lì a poco il suo talento – certamente più della notorietà del suo nome – lo portò nella scuderia ufficiale Ferrari: era un pilota istintivo, velocissimo, spericolato, amatissimo dal Commendatore, tanto che già nel ’56 era inserito fra le prime guide del Team e raccolse ottimi risultati soprattutto nelle categorie sport. Ma ‘Fon’ – “chiamatemi Fon” rispondeva a chi lo presentava a qualcuno usando tutto il suo interminabile nome – era uno strepitoso personaggio anche fuori dalle piste: non aveva certo problemi di soldi, si spostava senza bagaglio ma solo con una piccola borsa contenente l’equipaggiamento da corsa e comprava sempre tutto dove arrivava. Era sposato con una ragazza americana, aveva due figli ma anche una lunghissima serie di flirt veri o presunti che gli davano una fama da playboy. Notissima la sua lunga love story con la cantante ed attrice americana Linda Christian, ex-moglie di Tyrone Power e madre di Romina Power nonché con la modella inglese Dorian Leigh che gli diede anche un figlio illegittimo. Ma Fon non era un semplice donnaiolo: profondo, intelligente, parlava correntemente sei lingue e aveva uno spiccato senso della patria. Immorale e dissoluto eppure profondamente religioso. Superstizioso come tutti gli spagnoli, molti amici e conoscenti, dopo la sua morte, testimoniarono come lui presentisse la fine imminente. Il 1957 doveva essere l’anno della sua definitiva consacrazione: iniziò con due grandi prestazioni a Cuba – dove aveva dominato Fangio prima di un guasto al motore – e in Argentina sulle Ferrari sportcar e già traguardava il GP di Monaco, dove si sentiva fortissimo; non amava particolarmente la Mille Miglia, che giudicava inutilmente pericolosa, preferendo le competizioni in circuito. Non doveva partecipare alla edizione ’57, ma una malattia di Luigi Musso gli liberò il posto su una potentissima Ferrari 335S da 4 litri che prese il via da Brescia alle 5 e 31 di domenica 12 maggio.

Non aveva scelto come compagno di corsa, come facevano tutti gli altri piloti, un meccanico o un tecnico, ma il suo amico Ed Nelson e, essendo la sua prima partecipazione alla corsa, non aveva velleità di vincere ma solo di accumulare esperienza per tentare la vittoria nelle stagioni successive. A Roma Linda lo salutò circondata dai fotografi ed immortalata da una celebre istantanea che fece il giro del mondo, per poi volare a Milano ad aspettarlo per la premiazione; “Fon” era quarto, completando il trionfo Ferrari dietro ai compagni di squadra Taruffi, Von Trips e Gendebien quando, fra Goito e Guidizzolo in località Corte Colomba, comune di Cavriana e a circa 40 Km dal traguardo, perse il controllo della sua Ferrari a causa dell’esplosione di un pneumatico ed uscì rovinosamente di strada, urtando un paracarro che catapultò la vettura contro un palo del telegrafo e successivamente in un fossato dove erano assiepati gli spettatori in attesa del passaggio dei campioni. Il corpo di Alfonso fu rinvenuto a 220 metri di distanza dal punto dell’impatto, tranciato a metà dai fili del telegrafo all’altezza del torace. Il riconoscimento fu possibile grazie al ritrovamento di un piccolo portadocumenti di pelle nella tasca interna del giubbotto con inciso il suo nome e con dentro una medaglietta raffigurante la Madonna e un foglietto con scritto: “Sono cattolico, in caso di incidente chiamate un prete”. Con lui e il suo co-pilota Nelson restarono uccisi dieci spettatori e quell’incidente mise definitivamente fine alla storia agonistica della gloriosa Mille Miglia oltre che mettere a repentaglio il futuro stesso di Enzo Ferrari, al centro di una caso giudiziario che si chiuse solo quattro anni dopo quando una sentenza giudicò come accidentale quanto accaduto a Cavriana, quel dodici maggio di cinquantasette anni fa. Si chiuse così a 28 anni l’incredibile esistenza di Alfonso Cabeza de Vaca, Marchese De Portago, settimo pretendente al trono e Grande di Spagna.





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