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Home » Cronaca » IL CASO/ Aborto facile? L’Irlanda dice no all’Onu e insegna all’Italia

  • Cronaca

IL CASO/ Aborto facile? L’Irlanda dice no all’Onu e insegna all’Italia

Andrea Natale
Pubblicato 15 Settembre 2014
feto_aborto_gravidanzaR439

Un feto (InfoPhoto)

L’Irlanda è il paese che ha rispedito al mittente, l'Onu, le accuse di avere una legge troppo restrittiva sull’aborto. E pensare che l'Italia dovrebbe imparare. ANDREA NATALE

I danced for the scribe / And the pharisee / But they would not dance / And they wouldn’t follow me / I danced for the fishermen / For James and John / They came with me / And the dance went on / Dance, then, wherever you may be / I am the Lord of the Dance, said He…

Solamente un popolo come quello che vanta tra i suoi canti parole come queste poteva rispondere per le rime così chiaramente alle Nazioni Unite.


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Le parole citate sono tratte dalla splendida canzone intitolata Lord of the Dance, un canto popolare della tradizione irlandese. L’Irlanda è il paese che ha rispedito al mittente, l’Onu, le accuse di avere una legge troppo restrittiva sull’aborto.

In particolare, all’Irlanda, che nel 2013 aveva legiferato depenalizzando l’aborto, è stato rimarcato che tale legge permettesse l’interruzione di gravidanza solo in alcuni casi specifici: quando è in pericolo la vita della madre o se c’è un rischio di suicidio il parere deve essere dato all’unanimità da tre medici. 


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Regole come queste sono certamente restrittive, anche se, in realtà, lo sono fino un certo punto se pensiamo a come potrebbero essere usate con leggerezza.

Sono certamente più restrittive del nostro analogo italiano. La legge 194 permette l’aborto volontario prima della 12esima settimana quando “la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica” (art. 4) e dopo la 12esima settimana: “a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna” (art. 6). 


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Le parole della 194, di fatto, in Italia hanno permesso e permettono aborti precoci e tardivi (prima e dopo la 12esima settimana) con pretesti di ogni genere, fino a “quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto” (art. 7, e anche qui c’è margine di interpretazione). In Italia, nessun difetto del nascituro può, inequivocabilmente, esentarsi dal creare danni psichici alla madre e astenersi dal condannare il bambino ad una interruzione di gravidanza. 

Solo per citare dei fatti di cronaca, probabilmente in molti ricordiamo, qualche anno fa, quell’interruzione di gravidanza tardiva per una sospetta atresia esofagea, patologia che, se confermata, può essere agevolmente curata dopo la nascita. In quel caso è stato eseguito l’aborto, un cosiddetto “aborto terapeutico”: un termine che non viene citato nella legge, ma è ormai abbondantemente utilizzato sia nel dire comune sia nelle cartelle cliniche degli ospedali. Viene da chiedersi: terapeutico per chi? Chi è stato “curato”? Il bambino? Certamente no. La mamma? Lo lasciamo pensare a voi (io ho la sensazione che adesso, nel luogo in cui si trova, il bambino stia molto meglio della sua mamma, ma è una opinione personale). 

La 194 in Italia ha aperto una voragine incontrollabile e ha, di fatto, permesso a chiunque di abortire banalizzando il gesto. Se gli aborti poi nel tempo sono diminuiti non è, come alcuni giornali si ostinano ad affermare, “merito” della 194. Il merito, la 194, se l’è preso negli anni immediatamente successivi alla sua emanazione, quando nel 1982 le interruzioni di gravidanza hanno avuto il “boom” (234mila in un anno). E’ difficile dimostrare il contrario.

Non si può escludere che anche in Irlanda possa verificarsi un fenomeno simile, anche se oggettivamente le restrizioni della legge pongono delle maglie un po’ più strette di quelle che ci sono (o non ci sono) in Italia. 

Nonostante questo, qualcuno è ancora preoccupato che in Irlanda l’aborto possa ancora trovare degli ostacoli. Le Nazioni Unite si sono mosse perché il parlamento irlandese rivedesse le proprie clausole: in nome di cosa?

Yuval Shany, relatore sul “caso Irlanda” del Consiglio delle Nazioni Unite, ha dichiarato che la legge irlandese sull’aborto continua a criminalizzare le donne per le quali l’accesso all’aborto spetta come diritto secondo quanto garantito dal Covenant on Civil and Political Rights (Iccpr). Shany ha tenuto a precisare che: «Sebbene la legge del 2013 abbia rappresentato un miglioramento rispetto alla situazione precedente, tale normativa non ha ancora risolto molte delle preoccupazioni del “Consiglio per i Diritti Umani” e ha lasciato posto alla criminalizzazione dell’aborto, anche in circostanze nelle quali noi Stati membri ritentiamo debba esserci l’obbligo di consentire l’aborto sicuro e legale». Cioè a dire: l’aborto fa parte dei diritti umani.

L’Irlanda ha risposto. Con una limpidezza cristallina le fonti citano la risposta della signora Mary Jackson, funzionario irlandese presso il Dipartimento della Salute, che ha fatto notare come il suo paese abbia legittimamente legiferato in materia di aborto rispettando l’articolo 25 della Convenzione che garantisce a tutti i cittadini il diritto al voto e all’autodeterminazione.

Ma soprattutto, Lorcan Price, rappresentante e avvocato di Pro Life Campaign, Ong irlandese presente alla discussione di Ginevra, ha sottolineato che l’interpretazione dei diritti umani da parte delle Nazioni Unite è, di fatto, sbagliata. 

Cosa ha detto Price? «Non esiste alcun diritto all’aborto nella legislazione internazionale. Oggi le ricchissime lobby abortiste tenteranno di ingannare il Comitato per i diritti umani qui a Ginevra, sostenendo che i bambini non ancora nati non hanno il diritto di vivere. Questa affermazione è del tutto contraria alle leggi sui diritti umani».

Lo stesso Price ha poi aggiunto: «Spero con tutto il cuore che il Comitato difenda il diritto alla vita e respinga la pressione internazionale dei gruppi statunitensi, come il Center for Reproductive Rights, che vogliono imporre a tutti i costi il regime dell’aborto in Irlanda. Le Nazioni Unite sanno che non esiste un diritto internazionale sull’aborto nella legislazione. Se l’ONU assumesse una posizione esplicitamente a favore dell’aborto, si verificherebbe un danno incalcolabile alla sua credibilità come organismo in difesa dei veri diritti umani».

Io non so se le affermazioni dei rappresentanti irlandesi abbiano raccolto consensi e applausi scroscianti, ho il sospetto che non sia successo, sarebbe stato un consenso abbastanza “impegnativo”. Mi basta solo pensare che, anche senza applausi, le affermazioni che sono citate abbiano in qualche modo suscitato, in qualcuno, quella sensazione particolare di aver sentito “qualcosa di vero”.

Non so come finirà, politicamente, questa vicenda, anche se condivido appieno la speranza espressa “con tutto il cuore” da Mr. Price. Però, sono grato che in Europa esista un popolo come quello irlandese che, nella vita, si senta “invitato alla danza” (e quanto danzano gli irlandesi!). E chi invita alla danza (è Gesù che parla, il Signore della danza) non ha timore a invitare, a coinvolgere, a partire da ogni condizione umana, gioiosa o triste che sia (wherever you may be). 

A noi spetta aderire o no, cogliere l’occasione o no. Gli scribi e i farisei (quelli che vivono per la legge) “they would not dance”, si sono lasciati scappare l’occasione, rimanendo piegati sulle proprie convinzioni di poter salvare il mondo con le proprie mani. Non è un inno alla distrazione (“canta che ti passa”), è un invito a farsi coinvolgere appieno nella vita, per quanto essa possa essere felice o difficile, con la coscienza che è Lui che guida la danza (“I am the Lord of the Dance”). E’ una vera occasione di liberazione (altro che l’aborto!). E’ l’occasione che hanno potuto cogliere quelle mamme che, di fronte anche a enormi difficoltà, hanno saputo guardare in faccia il loro figlio e accoglierlo. They came with Me, and the dance went on.

(Andrea Natale)


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