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Home » Esteri » ISIS/ Micalessin: lo stato islamico è morto ma l’Iraq è pronto per una nuova guerra

  • Esteri

ISIS/ Micalessin: lo stato islamico è morto ma l’Iraq è pronto per una nuova guerra

Int. Gian Micalessin
Pubblicato 21 Luglio 2017
guerra_isis_terrorismo_medio_oriente_yemen_qatar_guerra_lapresse_2017

Terroristi islamici, foto LaPresse

Il dopo Mosul mostra già le avvisaglie di una nuova guerra tra sciiti e sunniti e il possibile sfaldamento dello stato iracheno. Ce ne parla GIAN MICALESSIN

Chi pensa che con la liberazione di Mosul e l’ormai quasi definitiva sconfitta delle milizie dell’Isis l’Iraq torni a vivere in pace si sbaglia di grosso. Per Gian Micalessin è vero piuttosto il contrario: “La guerra contro l’Isis è stata l’ultima dimostrazione di un’apparente unità del paese, che adesso si sfalderà diventando territorio di una nuova guerra”. Non c’è paese confinante, dice ancora il giornalista inviato di guerra del Giornale, che non guardi con interesse all’Iraq per prendersene una parte, mentre già adesso il governo centrale di Baghdad è in mano all’Iran. “Inoltre il modo con cui i soldati iracheni, ormai quasi tutti sciiti, stanno facendo pulizia dei sunniti dell’Isis riporta alle stesse condizioni di odio che crearono proprio l’Isis”. 


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Le notizie che giungono da Mosul, soprattutto sulla stampa straniera, parlano di un’operazione di pulizia di massa nei confronti dei prigionieri dell’Isis da parte dell’esercito iracheno. Come è possibile che non ci sia una terza parte che controlli quanto avviene?

Gran parte dell’esercito iracheno è ormai composto per la maggior parte da sciiti. Durante la prima fase dell’assedio a Mosul c’è stata una particolare attenzione nei confronti dei civili. Nell’ultima fase invece l’esercito iracheno ha agito sulla base della considerazione che tutti coloro che erano rimasti nella parte vecchia della città fossero miliziani e famiglie dell’Isis, comunque conniventi con questi. Le garanzie date ai civili nella prima parte della battaglia sono quindi venute meno. 


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Hoshyar Zebari, ex ministro iracheno, ha detto al quotidiano inglese The Independent che ci sarebbero almeno 40mila morti tra i civili. E’ una cifra credibile?

E’ sempre difficile fare questo tipo di conti, anche Zebari ha detto che è una cifra stimata. Nell’ultima fase di assedio della parte vecchia è stato determinante l’impiego dell’aviazione e questo ha prodotto stragi in condomini abitati da civili usati come scudi umani dai miliziani, gli stessi miliziani che sparavano sui civili che cercavano di abbandonare la città vecchia.

Si parla anche di giustizia sommaria da parte degli iracheni e di condizioni disumane in cui vengono tenuti i miliziani catturati, che poi non si sa neanche quanti di questi siano davvero membri dell’Isis. 


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Stiamo assistendo al riproporsi della situazione che ha generato l’Isis.

In che senso? 

L’Isis nasce dalle ceneri della vecchia al Qaeda sconfitta dal generale americano Petreus. In quel periodo al Qaeda era stata sconfitta reintegrando le comunità sunnite emarginate dal punto di vista sociale, politico ed economico da Saddam Hussein. Nel 2009 gli americani con ordini voluti da Obama hanno fatto cadere tutte le garanzie concesse alle tribù sunnite e da questo nacque l’Isis, dall’emarginazione di queste comunità, dagli arresti dei loro capi. Venne fuori quell’Isis che solidarizzò con i vertici degli ex servizi segreti di Saddam. Isis che entrò senza colpo ferire nel 2014 a Mosul accolta come una liberazione dalla popolazione in maggioranza sunnita che era stata maltrattata dal nuovo potere iracheno.

E oggi? 

Oggi il rischio è che si determini la stessa situazione. Cioè che dopo aver sconfitto l’Isis gli iracheni creino le condizioni per la nascita di un nuovo Isis a beneficio del malcontento delle comunità sunnite.

Nessuna forza internazionale di pace potrebbe intervenire in questo quadro, come successo nell’ex Jugoslavia? L’Onu che fa?

Non dimentichiamo che in Iraq come in Siria sono in ballo forti interessi internazionali che vanno al di là della componente nazionale. L’Iraq oggi è monopolizzato dall’Iran che ha molta più influenza degli americani sul governo di Baghdad. Nello stesso Iraq e nel nord operano le milizie sciite, che non vedono di buon occhio una rinascita sunnita. Poi c’è la Turchia e poi ci sono gli Usa, una serie di interessi internazionali che vanno al di là del concetto di unità nazionale irachena impedendo qualsiasi iniziativa di ricomposizione dell’odio settario.

Mi scusi se mi ripeto, ma l’Onu che fa?

L’Onu è da decenni che ha smesso di svolgere il suo ruolo, qualunque sua dichiarazione vale come carta straccia.

Possibile che gli iracheni non si rendano conto che stanno ricreando una situazione per una nuova guerra?

L’ultima volta che sono stato a Mosul lo scorso novembre ho trovato una percentuale di odio tra le varie comunità senza precedenti. Curdi che odiano sciiti e sunniti, sciiti che odiano sunniti e curdi. Tutti i presupposti di una nuova guerra per il controllo del territorio e il definitivo sfaldamento della nazione irachena. Si percepiva un odio mortale, la guerra all’Isis è stata l’ultima occasione che ha consentito una sorta di finta unità dell’Iraq, la guerra successiva porterà allo sfaldamento.

A vantaggio di chi?

A vantaggio dell’Iran nel sud e in larghe zone del paese, a vantaggio dei curdi al nord, dei turchi che non smetteranno di aiutare i sunniti. Non c’è paese nei dintorni che non guardi con interessi a quell’Iraq che non è mai stato una nazione, ma una espressione geografica creata con i righelli dagli inglesi per controllare i pozzi di petrolio.

(Paolo Vites) 


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