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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ L’errore di Scorsese? Il Silenzio non è più forte dei martiri

  • Letture e Recensioni
  • Cultura

LETTURE/ L’errore di Scorsese? Il Silenzio non è più forte dei martiri

Daniele Serretti
Pubblicato 14 Febbraio 2017
scorseseR439

Martin Scorsese (LaPresse)

La storia rappresentata da M. Scorsese in "Silence" interroga lo spettatore: silenzio di Dio o silenzio della fede? L'unico silenzio è quello che non rinuncia alla Verità. DANIELE SERRETTI

La storia rappresentata da Martin Scorsese sulla base del romanzo di Shusaku Endo è pervasa, sin dalle inquadrature iniziali, di tenebra e silenzio. Una fitta nebbia esistenziale si agita fin dall’inizio nell’animo del protagonista, padre Rodrigues. Dall’oscuro purgatorio di quelle brume sorge nello spettatore un interrogativo: silenzio di Dio o silenzio della fede?


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La luce della fede, che parla attraverso la storia dei martiri che ne diedero testimonianza col proprio sangue durante le terribili persecuzioni anticristiane nel Seicento in Giappone, non sembra squarciare l’oscurità e il dramma del “silenzio di Dio” che opprime il cuore di padre Rodrigues. La repressione del suo orgoglio (“se Garrupe e io moriamo la Chiesa giapponese morirà con noi”), l’accantonamento del proprio io, abilmente ventilati dall’interprete dell’Inquisitore (“il prezzo della vostra gloria è la loro sofferenza”), e che inducono ad assimilare nella foschia dell’indistinzione cristianesimo e buddismo, assumono qui il nome di compassione. Questa, nel film, come nella storia di Endo, diviene strumento e salario dell’apostasia, autentico sprone alla debolezza del protagonista: così egli calpesta il fumie, la tavoletta raffigurante il volto di Cristo, accogliendo l’invito alla misericordia di Ferreira, ribadito dall’interprete: “Siete un uomo buono. Non sopportate le sofferenze: le vostre come quelle degli altri”. È la via dell’oscuramento della fede e della rivolta della ragione che, di fronte allo scandalo della croce e del martirio, predilige l’evidenza del risultato visibile (la “salvezza” di quei condannati dalla morte) alla via invisibile della mano di Dio che resuscita suo Figlio e tutti coloro che muoiono in Lui e per Lui. 


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E anziché assistere alla trasfigurazione della storia ad opera della fede, assistiamo qui alla perversione della fede ad opera della storia. 

La debolezza del padre Rodrigues, che cercando Dio non può abbandonare se stesso, e che, secondo le parole di Ferreira, non ha il diritto di far soffrire i cristiani (cioè, nella fattispecie, di resistere alla tentazione di abiurare, dando a loro stessi testimonianza con la propria vita), è il vero silenzio della fede. Alla luce della vera fede, invece, quella dei martiri, pur rappresentati nel film, l’unico silenzio è quello del bene che non fa rumore. Non a caso la Chiesa formata dai cristiani perseguitati nel Novecento sotto il comunismo è stata definita Chiesa del silenzio. Come quella di Nagasaki, ancor oggi viva e fondata sul sangue dei suoi martiri.


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Il tema del silenzio nel film sembra quindi prevalere persino sulla storia dei martiri, alla quale in realtà finisce per contrapporsi. Esso riaffiora nelle ultime scene sulla vita di padre Rodrigues, che dice rivolgendosi a Dio: “Alla fine nel silenzio ti ho trovato”.  

Ci si potrebbe aspettare, a questo punto, un ripensamento, una via d’uscita dalla desolazione e dallo squallore della vita dell’apostata divenuto ormai un fantoccio nelle mani dell’Inquisitore. Ma nulla di tutto ciò accade, ed egli continua a calpestare i fumie e induce i cristiani catturati ad abiurare, offrendo così sempre nuove prove di fedeltà al potere inquisitoriale. Il Dio che egli ha trovato non è infatti quello della Chiesa cristiana, alla cui appartenenza egli ha ormai rinunciato. Egli ha compiuto il percorso dalla sua debolezza umana alla debolezza della fede, costruendosi un Cristo a sua immagine: non quello pronto a perdonare ogni umana debolezza, ma quello che l’approva e l’alimenta, quando nel doloroso frangente dell’abiura gli dice: “Va tutto bene. Calpestami”, rinnegando così se stesso e togliendo ogni valore al sacrificio supremo del martirio, estrema assimilazione al suo stesso sacrificio sulla croce.

Così, rinnegando Cristo e la sua Chiesa, Rodrigues ha rinnegato se stesso: ora non è più vestito di stracci, come al momento del suo sbarco in Giappone, ma indossa splendidi abiti. Ripulito e sbarbato, il suo volto non è più figura Christi, e a quel lindore dell’esteriorità corrisponde una diminuzione della sua dignità: quella che, come egli annotava a suo tempo, il cristianesimo aveva portato a quei contadini laceri e sporchi nella loro povertà, da lui condivisa con gioia. Ma ora quella gioia è scomparsa. 

E’ questo il vero silenzio del film: è l’oscuramento della storia in cui il Figlio di Dio si fa uomo e, dopo la passione e morte in croce, risorge (al volto del Cristo della Resurrezione di Piero della Francesca cui fa riferimento il romanzo di Endo, non a caso Scorsese ha sostituito quello raffigurato da El Greco, sanguinante nella corona di spine), e dove padre Christovao Ferreira, secondo  testimonianze storiche attendibili, nel periodo successivo alla sua abiura, non fu un mero servo dell’Inquisitore, ma accettò infine il martirio morendo per Cristo Verbo di Dio.


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