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Home » Educazione » SCUOLA/ Il vero problema politico del decreto mancato

  • Educazione

SCUOLA/ Il vero problema politico del decreto mancato

Gianni Bocchieri
Pubblicato 5 Marzo 2015
RomaPalazzoQuirinale

Il Quirinale (Infophoto)

Davvero è stato Renzi a scegliere il ramoscello d'ulivo del ddl per completare (forse) l'operazione Buona Scuola (pardon) precari? Può darsi di no. GIANNI BOCCHIERI

Era davvero difficile pensare che, questa volta, il Governo non avrebbe emanato i provvedimenti della “Buona Scuola” con l’approvazione di un decreto-legge e di un disegno di legge come ha fatto in tutti i precedenti casi di interventi sistemici del suo primo anno di lavoro. Anzi, questa volta l’utilizzo della decretazione d’urgenza sarebbe stato ancora più giustificato per realizzare l’azione principale del piano, che rimane ancora l’immissione in ruolo di tutti gli insegnati ancora iscritti nelle graduatorie ad esaurimento (le cosiddette Gae). 


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Infatti, senza il ricorso al decreto-legge entro pochi giorni, sarà quasi impossibile realizzare l’annunciata immissione in ruolo di 120mila insegnanti per il prossimo anno scolastico 2015/2016. A legislazione vigente, il Miur non ha alcuna possibilità di farlo se non nel doppio limite dei posti disponibili e vacanti e del numero dei pensionamenti, previsto dal piano straordinario di assunzione del Governo Letta che a sua volta aveva rinnovato il precedente piano del ministro Gelmini. 


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Salvo nuovi colpi di scena del prossimo Consiglio dei ministri di martedì prossimo, per l’inizio delle lezioni del prossimo mese di settembre saranno al massimo 40mila gli insegnanti che potranno essere immessi in ruolo, su un numero totale di 80mila cattedre disponibili e vacanti. 

Slitterà così al successivo anno scolastico 2016/2017 la definizione dell’organico funzionale di 40mila posti attraverso cui realizzare il completo svuotamento delle Gae e mantenere le promesse fatte da questo Governo subito dopo il suo insediamento. 

Senza decreto-legge, non basta aver trovato le coperture del miliardo di euro per il 2015 e dei 3 miliardi per il 2016 dell’ultima legge di stabilità e la sentenza della Corte di Giustizia europea per il più imponente ampliamento dell’organico della pubblica amministrazione degli ultimi anni.


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Gli esiti dell’ultimo Cdm avranno certamente scontentato tutti coloro che hanno maturato legittime aspettative di vedere realizzate promesse reiterate con ostentata convinzione e lasciano sperare coloro che sono convinti che il piano della “Buona Scuola” non possa ridursi all’immissione in ruolo di una platea di insegnanti superiore al numero di cui la scuola ha effettivamente bisogno. Per questi ultimi, il rinvio di almeno un anno delle assunzioni consolida la speranza di poter cambiare la traiettoria della “Buona Scuola” verso altre misure più necessarie ed urgenti al nostro sistema di istruzione e formazione. Ma essi non possono confidare in altre motivazioni tecniche, perché non è stata sicuramente la mancata bollinatura dei provvedimenti da parte della Ragioneria generale dello Stato a costringere il Governo ad adottare lo strumento del ddl, sebbene vi siano più che fondate ragioni per ritenere che i 3 miliardi della legge di stabilità siano insufficienti per il finanziamento a regime di questo speciale piano di assunzioni. 

Infatti, i tecnici del Miur hanno lavorato ininterrottamente con i loro colleghi del Mef per tutto lo scorso fine settimana, fino ad avere l’ok della Ragioneria. 

A questo punto, le ragioni della decisione di non procedere con il decreto-legge sembrano essere tutte politiche, soprattutto per il fatto che lo stesso provvedimento delle immissioni in ruolo non avrebbe potuto non contenere disposizioni sulla carriera degli insegnanti e sulla riduzione degli scatti di anzianità nel limite del 30% dell’incremento economico totale.

Evidentemente, non state ravvisate le ragioni di urgenza per adottare misure così controverse con un decreto-legge. Ma se il Governo era disposto a farlo, non ci sono molti altri che hanno potuto decidere il contrario.


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