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Home » Educazione » SCUOLA/ Caro Ministro, la prima “lezione” del Sud è la scuola reale

  • Educazione

SCUOLA/ Caro Ministro, la prima “lezione” del Sud è la scuola reale

Filomena Zamboli
Pubblicato 17 Ottobre 2013
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Infophoto

Il ministro dell'Istruzione ha rilasciato un'intervista al "Mattino" di Napoli. A tema i problemi dell'istruzione al sud, dagli studenti ai docenti. La lettera di FILOMENA ZAMBOLI

Caro Ministro, venga. Gliel’ho già detto in occasione dell’ inizio dell’anno scolastico in Campania, quando ha incontrato i dirigenti scolastici. Le rinnovo l’invito. Venga. Scelga Lei quando e dove, troverà, ovunque decida di andare, una scuola operosa. Troverà classi e alunni al lavoro. Sarà – come ha detto quel giorno – occasione per incontrare “la scuola al lavoro”. E mi piace quello che ha dichiarato al Mattino (14 ottobre 2013): “molti studenti del Mezzogiorno non sono messi in grado (nelle condizioni direi) di esprimere tutte le loro capacità”. 


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Ma procediamo con ordine altrimenti l’impressione, come al solito, potrebbe essere quella di una difesa senza dati, una preconcetta presa di posizione. Gli studenti del Sud, ai test di ingresso in medicina, conseguono risultati deludenti consentendo a molti studenti del Nord di frequentare gli atenei meridionali per il loro percorso di formazione. Conseguenza logica: “esiste un divario di preparazione degli studenti del Sud messo in luce dai test di medicina”. Nessuna novità! Siamo abituati. Ai test Pisa-Ocse i nostri studenti finiscono agli ultimi posti. Ai test Invalsi – che dal punto di vista programmatico e di impostazione metodologica ai primi somigliano molto – uguale. 


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Ma quest’anno è accaduto un fatto strano: La Campania ha un primato – dice l’Invalsi, mica io – zero cheating ovvero niente copia, nessuna mistificazione. E allora? Sarà che questi ragazzi sono proprio ignoranti? Sarà che i loro docenti… ancor più? Se i ragazzi non imparano o è perché hanno tutti qualche problema di apprendimento o sarà perché i docenti hanno… qualche problema di insegnamento! O forse tutt’e due. 

Per questo Le rinnovo l’invito. Perché Lei mi piace. Perché l’ho sentita a San Cipriano dire delle cose concrete e realissime: la nostra scuola non ha bisogno che io firmi una nuova riforma e i docenti hanno bisogno di essere ascoltati. E mi è piaciuto quello che detto nell’intervista: il problema non è solo cercare e trovare risorse: il problema è un progetto. Pro-icere: guardare avanti. Vedere oltre il limite dei dati puri e semplici, che possono dirci tutto e niente. O meglio: possono dirci quello che vogliamo ci dicano, se il punto di partenza è una idea preconcetta. E allora bisogna ripartire dalla scuola reale. 


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Ecco alcuni “dati di contesto”: 1. Strutture inadeguate: ci arrampichiamo su per le scale e i laboratori (anche quelli finanziati dai Pon) sono sottoscala, piccole stanze, porzioni di corridoio, aule tagliate a metà dai “piccoli adattamenti edilizi”. 2. I nostri studenti hanno poco a che fare con la vita reale, quella oltre i banchi, quella delle ore sedute, quella fatta solo di libri e poca esperienza (ma dove sono le imprese al Sud che investono nella formazione dei giovani? 

Che implementano gli stage come modalità per formare “a costo pressoché zero” la forza lavoro? Forse è già tanto se le aziende riescono a resistere e a esistere. E non è un piangersi addosso, signora Ministro, la piccola e media impresa del Sud a carattere familiare ha bisogno di essere veramente sostenuta per prendersi “a bottega” un ragazzo….. figurati una classe! 3. Le famiglie della Campania da sempre gratificano la scuola pubblica di un grande merito: saper tenere i ragazzi a scuola, cioè in un posto sicuro, controllato, affidabile, rispetto a occasioni altre che il vissuto sociale stenta a garantire. È un grande successo. 4. I test nazionali e internazionali. Proprio Lei sottolineava nella giornata di presentazione dei risultati Invalsi di questo anno scolastico appena trascorso che una rilevazione fatta in un solo momento di tempo e con variabili molto ristrette non dà ragione del cammino formativo e dell’esito vero del percorso di apprendimento di un alunno. Soprattutto se non “si è copiato”. Ebbene? Tutti ignoranti gli studenti e, di conseguenza, tutti ignoranti i docenti? 

L’equazione – mi insegna − è troppo elementare. Quante eccellenze – in percentuale − ci sono al Sud, rispetto alle eccellenze del Nord? Ricordo ancora una visita ispettiva a scuola di una collega vicino a Torre Annunziata dove i ragazzi avevano conseguito risultati  particolarmente eccellenti in matematica, oltre ogni probabile cheating: l’ispezione ha scoperto che proprio quei ragazzi avevano vinto le olimpiadi nazionali di matematica! 

E se dovessimo pensare a testare in modo nuovo? E se dovessimo immaginare di testare competenze diverse? Che non siano – per carità − quelle dell’inglese come lingua straniera per eccellenza, se ad insegnarla nella scuola di base ci mettiamo i docenti curriculari – magari di una certa età − che con un corso breve, brevissimo, rispetto ad un percorso universitario, imparano la didattica e forse anche la lingua. Magari sarebbe interessante testare le competenze di cittadinanza. Ma questo apre un nuovo scenario, certamente più complicato, su cui vale la pena riflettere. È il mercato a dettare le regole di quello che la scuola deve insegnare, oppure la scuola deve farsi carico del suo compito educativo prima ancora di analizzare quali competenze richiede l’industria piuttosto che la banca, per “salvare” l’economia? 

Per questo mi è piaciuta la Sua intervista al Mattino: il problema, prima ancora di cercare e trovare le risorse, è “fare” un progetto. Nel senso che dicevamo prima: pro-icere. Guardare oltre. Guardare avanti. E se invece di insegnanti ignoranti al Sud ci fossero migliaia di bravi insegnanti che hanno diligentemente e proficuamente seguito un corso di studi in lettere antiche e moderne, in matematica o in fisica, in scienze della formazione, in arte e design in cui non si è mai insegnato didattica? 

Per questo ha ragione, Ministro. Prima ancora delle risorse, occorre un progetto. Ma uno serio. Un Percorso in cui vengano ridisegnati i piani di studio e implementata la possibilità di imparare la didattica dell’italiano piuttosto che quella delle scienze. In cui i nostri docenti si orientino, sin dall’università, verso lo studio con la metodologia del problem solving. Che facciano tirocinio attivo, insomma che incontrino la scuola intanto che si formano per lavorare “nella” scuola.

Altrimenti tutto è spostato sempre “dopo”. E alla stessa scuola tocca “ri-formare” – senza risorse − quei docenti che hanno seguito un percorso di studi universitario che nulla ha insegnato loro su come insegnare. Credo che volesse dire anche questo quando ha affermato: “invito Marelli e tutti gli altri Rettori del Sud ad essere ambiziosi”. Siamo con Lei.


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