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Home » Educazione » SCUOLA/ La storia di Charlie ci insegna che la realtà non inganna

  • Educazione

SCUOLA/ La storia di Charlie ci insegna che la realtà non inganna

Luigi Ballerini
Pubblicato 19 Luglio 2010
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Foto Fotolia

Il libro La nuova vita di Charlie di Susan Shaw racconta bene, come spiega LUIGI BALLERINI, cosa succede quando gli adulti tradiscono la fiducia dei bambini

Charlie ha dodici anni e un cognome che non conosce. Charlie è stato chiuso a lungo in cantina in punizione. Charlie non sa nemmeno cos’è il Natale. Charlie non sa più leggere e far di conto. Charlie viene trovato per strada e portato in ospedale. Charlie inizia una nuova vita, ma non è affatto semplice, perché non sempre facile e semplice coincidono. In certe situazioni ciò che è facile, a portata di mano per chiunque, diviene quasi impossibile, come uscire di casa per tirare calci a un pallone insieme a un amico. Così come tornare a fidarsi di un grande.


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La nuova vita di Charlie di Susan Shaw in libreria per Piemme e destinato a lettori coetanei del protagonista parla di una condizione estrema, clamorosamente patologica, di maltrattamento. Lo fa tuttavia con un certo garbo, pur non risparmiando al lettore toni a volte forti ed emotivamente coinvolgenti.

La vicenda è ben narrata in prima persona e ci dà modo di esplorare i pensieri del ragazzo, anagraficamente dodicenne, ma assai più indietro nella sua esperienza di vita. Tramite Charlie che racconta la sua storia e i suoi pensieri, di sovente tormentati e inquieti, abbiamo l’occasione di accorgerci in presa diretta come il primo attacco a un bambino sia l’inganno al suo pensiero, alla fiducia che ha imparato a riporre in un altro.


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Prima ancora forse che le percosse, così macroscopiche e clamorose anche quando perpetrate lontano dagli occhi del mondo. Charlie mette in evidenza come la sua ingenuità, propria di ogni bambino, lo renda vulnerabile e lo esponga ignaro agli attacchi dei grandi quando smettono di volergli bene, ossia di volere il suo bene.

Nato e cresciuto con mamma e papà ha potuto assaporare almeno all’inizio il gusto della loro compagnia: “Quando le cose andavano bene”, espressione usata spesso dal ragazzo mentre ripercorre la sua storia, testimonia di un tempo favorevole in cui i grandi si muovevano per il suo vantaggio. Poco o tanto, magari parcellizzato in una gustosa zuppa di piselli coi wurstel a pezzettini, questo tempo è stato sufficiente per concedere piena e totale fiducia ai suoi maggiori.


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Maggiori che il bambino vede e sperimenta come fonte di beneficio, dai quali si aspetta solo favori che è anche capace di propiziarsi con competenza e garbo. Quando invece dai grandi inizia sistematicamente ad arrivare il male, soprattutto quello spacciato a fin di bene (la cantina rappresenta una patologica sede di difesa dai presunti e delirati mali del mondo), il bambino si trova spiazzato e preda a un conflitto irrisolvibile; si trova soprattutto nella condizione di difendere a oltranza quei grandi fino ad allora sperimentati come buoni.

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Ecco allora il passaggio di pensiero – vero errore di pensiero – “sono io quello cattivo. Sono io a dover finire nei guai, non mio padre o mia madre”, come ci informa Charlie. Occorrerà del tempo, del lavoro e soprattutto il paragone con una normalità sperimentata in prima persona a riattivare il giudizio capace di valutare esattamente cosa sia successo, ossia che quello spacciato per amore era in realtà odio per il rapporto.

 

Quello di Charlie è un caso macroscopico, letterario sebbene purtroppo verosimile. La questione che pone invece vale per tutti i nostri bambini. Il vero attacco al bambino è a quella legge che si è costituita in lui coi primi teneri accudimenti secondo la quale il bene proviene sempre da un altro. Lo scandalo, davvero da macina al collo, è il tradimento, l’abdicazione dell’adulto quanto alla sua posizione di favorente il pensiero del bambino. Non basta però che l’attacco accada in modo puntiforme, occorre che sia sistematico e ripetuto perché il danno si costituisca.

 

Il papà di Charlie – forse un po’ troppo monoliticamente cattivo, troppo orco nei suoi tratti volutamente esasperati – ha almeno il pregio di mostrare la faccia untuosa e a volte mielosa dell’attacco che viene fatto ai bambini, quello perpetrato a fin di bene, spacciato per “amore” e proprio per questo così ingannevole e difficilmente smascherabile.

 

Amore è invece favorire i passi del bambino nella realtà, stimarne la competenza nel suo orientarsi secondo un principio di piacere già costituito precocemente. L’amore apprezza l’iniziativa del soggetto, la guarda con simpatia e la incoraggia, sostenendola con discrezione, senza invadenza né ironia. L’amore vive nella categoria della preferenza, non dell’esclusività. L’amore apre al reale dei rapporti, non rinchiude mai in cantine vere o ideologiche, dove il buio spegne progressivamente il pensiero e le sue facoltà.

 

Allora stiamo attenti a non ingannare i bambini, pur di difenderci saranno disposti a perderci in prima persona. Mi fido di te, è il loro motto. E lo fanno a ogni costo, fino ad annullarsi. Come adulti, desideriamo almeno di esserne il più possibile degni.


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