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Home » Impresa » IL CASO/ Il viceministro Calenda: così convinceremo 73mila imprese a esportare

  • Impresa

IL CASO/ Il viceministro Calenda: così convinceremo 73mila imprese a esportare

Int. Carlo Calenda
Pubblicato 4 Novembre 2013
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Infophoto

Il ministero per lo Sviluppo Economico, spiega CARLO CALENDA, ha messo in campo un piano missioni indirizzato ai mercati con maggiori potenzialità di assorbimento del nostro export

Maggiori risorse per la promozione dell’export e un nuovo piano missioni che tiene conto dei mercati con maggiori potenzialità di assorbimento dei nostri prodotti. Sono alcune tra le prime cose fatte dal governo Letta sul versante dell’internazionalizzazione. Ma portare i nostri imprenditori all’estero non basta: «Finiremmo col dialogare con quanti già esportano, magari su mercati differenti». È indispensabile convincere a esportare quanti ancora non lo fanno: «C’è un gran numero di imprese che esporta saltuariamente, o non esporta affatto, spesso per un deficit di informazioni oppure per mancanza di competenze e figure professionali specializzate». Obiettivo: raggiungere le 73mila aziende che hanno tutte le carte in regola per esportare ma non lo fanno. A queste imprese, esportatrici potenziali, è diretto il roadshow che partirà a gennaio. Ce ne parta in questa intervista Carlo Calenda, viceministro dello Sviluppo economico. 


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Viceministro Calenda, in diverse occasioni il presidente Letta ha affermato che la crescita economica è al centro del programma del governo e che l’Italia deve ritornare a crescere dopo anni di sostanziale stagnazione. Considerando che il consumo in Italia resta ancora piuttosto debole, mentre il Made by Italians è riconosciuto ed esportato ovunque nel mondo, quali strategie di sviluppo intende adottare il governo per sostenere l’internazionalizzazione delle nostre imprese?


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Prima di decidere quale strategia adottare, un Paese deve convincersi che è giusto e indispensabile darsi una strategia per l’internazionalizzazione.

Dovrebbe essere scontato, no?

Sembra scontato, per un Paese in cui l’export conta il 30% del pil. Sembra scontato, per un’economia in cui l’unica componente che contribuisce positivamente alla formazione del prodotto è, da qualche anno, la domanda estera. Eppure non è così.

Come mai?

Su questo fronte, per troppo tempo l’Italia non si è data obiettivi quantificati e misurabili. La prima cosa che questo governo ha cercato di fare è stata proprio definire un approccio praticabile, all’interno di uno strumento esistente, la Cabina di Regia per l’Italia Internazionale.


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Cosa prevede questo approccio?

La strategia elaborata ruota intorno a differenti assi d’intervento. Innanzitutto, puntiamo a un deciso incremento delle risorse per la promozione del nostro export, da diversi anni in calo. Ciò permetterà di attivare più iniziative rispetto alle attuali, con un maggior numero di settori coinvolti e di paesi toccati. E avrà anche un altro effetto.

Quale?

Ci attendiamo un ulteriore effetto moltiplicatore dall’integrazione delle risorse statali con quelle regionali e di altri enti che svolgono attività di promozione del Made in Italy.

Quali altre linee di intervento avete seguito?


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In secondo luogo, abbiamo messo a punto un nuovo piano missioni, che tiene conto dei mercati con maggiori potenzialità di assorbimento del nostro export, individuati sulla scorta di analisi economiche di breve e lungo periodo. Ci saranno missioni “di sistema”, su alcuni paesi prioritari, con la partecipazione di istituzioni e operatori economici al massimo livello, missioni “settoriali” su specifici comparti e missioni prettamente istituzionali. Contestualmente, manterremo il nostro massimo sforzo nel difendere e rafforzare il nostro export attraverso azioni di politica commerciale. Con l’Unione europea siamo impegnati in diversi negoziati per definire accordi di libero scambio, in primo luogo con Usa e Canada.


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Qual è l’obiettivo?

I negoziati dell’Unione con le economie più importanti rappresentano un’occasione per innalzare gli standard di apertura commerciale nel mondo intero, soprattutto per ciò che concerne lo smantellamento delle barriere non tariffarie. Riteniamo che su questo fronte debba essere promossa un’iniziativa a livello europeo. Tuttavia, l’Europa deve dotarsi di strumenti di difesa commerciale, come le misure antidumping, più efficaci: siamo contrari a riforme degli strumenti che possono indebolire, anziché rafforzare, l’attuale sistema.       


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Tradizionalmente quando si pensa al “Made in Italy” la mente va subito al design, alla moda, alle auto di lusso. Ma se si guardano numeri e valori si nota un doppio comune denominatore tra questi settori e quelli dell’industria del bene strumentale: qualità ed export, vero elemento trainante per tutta l’industria italiana. Quali saranno i progetti e le iniziative che saranno affidati a ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, la cui riattivazione è stata accolta con grande entusiasmo dagli imprenditori italiani?

Ho già detto che è necessario un netto potenziamento delle nostre misure pubbliche, e tra queste occupano un ruolo di primo piano gli strumenti di promozione gestiti dall’ICE. Investire di più però non basta.

 

Cos’altro occorre?

Abbiamo selezionato meglio le iniziative, cioè abbiamo selezionato accuratamente mercati e settori produttivi. Il lavoro che è stato fatto, valorizzando il contributo scientifico degli enti di ricerca pubblici e privati, ha portato a individuare mercati ad alto potenziale.

 

Di quali mercati si tratta?

Sono le economie che con maggior intensità esprimeranno domanda di beni di consumo e d’investimento in linea con le nostre specializzazioni produttive. Ma se ci limitassimo a portare i nostri imprenditori all’estero, finiremmo col dialogare in massima parte con quanti già esportano, magari su mercati differenti.

 

Invece?

È ugualmente indispensabile convincere a esportare quanti ancora non lo fanno. C’è un gran numero di imprese che esporta saltuariamente, o non esporta affatto, spesso per un deficit di informazioni oppure per mancanza di competenze e figure professionali specializzate.

 

Avete un obiettivo?

In base alle stime sono circa 25mila le imprese prevalentemente orientate all’export, quelle che vendono all’estero più di metà del loro fatturato. L’obiettivo è raggiungere le altre 73mila che hanno tutte le carte in regola per esportare ma non lo fanno. A queste imprese, esportatrici potenziali, è diretto il roadshow che partirà a gennaio.

 

Cosa succede a gennaio?

Offriremo alle aziende l’occasione di confrontarsi faccia a faccia con professionisti dell’export, per avere un primo orientamento strategico sulle combinazioni mercato-prodotto praticabili. Negli incontri che stiamo organizzando sul territorio presenteremo i servizi a supporto delle imprese messi a disposizione da ICE, SIMEST e SACE.

 

A novembre si terrà a Milano la prima Assise della Macchina Utensile in Italia, un’iniziativa che Ucimu-Sistemi per produrre ha pensato per proporre un confronto esteso, un laboratorio di idee, un momento di analisi per “vivere il futuro”, funzionale alla costruzione di un piano comune di interventi da illustrare poi alle autorità di governo. Come vede un’iniziativa di questo genere? Crede che possa essere uno strumento valido e replicabile anche in altri settori?

L’iniziativa promossa da Ucimu ha un valore distintivo. Da una parte valorizza il contributo delle varie componenti della catena del valore. Dall’altra cerca di esprimere un punto di vista comune sulle possibili leve d’intervento a disposizione delle autorità. Credo che un approccio del genere sia produttivo anche per altri comparti. Credo che possa fornire un contributo essenziale anche per tarare meglio gli strumenti pubblici di supporto all’internazionalizzazione.     

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  • Tags: Carlo Calenda

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