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Home » Milano » PROFUGHI A MILANO/ Perché Pisapia e Majorino parlano solo con gli “amici” di al Qaeda?

  • Milano

PROFUGHI A MILANO/ Perché Pisapia e Majorino parlano solo con gli “amici” di al Qaeda?

Matteo Forte
Pubblicato 16 Giugno 2014
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Infophoto

Nell'ultima settimana sono giunti nelle stazioni ferroviarie di Rogoredo, Garibaldi e Centrale centinaia di stranieri sbarcati a Sud e "indirizzati" a Milano. MATTEO FORTE

Nell’ultima settimana sono giunti nelle stazioni ferroviarie di Rogoredo, Garibaldi e Centrale centinaia di stranieri sbarcati a Sud e “indirizzati” alla volta di Milano dalle prefetture del mezzogiorno. È chiaro che la non tempestività nell’informare le città di destinazione da parte di funzionari dello Stato è indubbiamente una grave responsabilità che necessita chiarimenti. Tuttavia una classe politica non all’altezza della situazione, come al solito, sta perdendo tempo nel rinfacciarsi responsabilità ed errori. L’assessore alle politiche sociali Majorino dice che è tutta colpa di Alfano e del Viminale. Gelmini e colleghi di Forza Italia dicono che è tutta colpa di Pisapia e del governo Renzi se Milano vive questa condizione. Come spesso accade, anche se la campagna elettorale si è conclusa da poco, i più non si risparmiano nel tentativo di strappare uno straccio di consenso, sempre più eroso dall’astensionismo e dalla protesta grillina, sull’onda delle emergenze.


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Se nei primi 6 mesi dell’anno siamo quasi a quota 50mila sbarchi non è colpa del governo. Né del “traditore” che siede al Viminale. C’è un semplice dato che sfugge agli amanti del piccolo gioco ideologico dell’alternativa unica (centrodestra vs centrosinistra): la primavera araba e l’instabilità generale che ne è seguita. Quando nello stesso periodo circa 120 sbarchi su oltre 140 hanno come provenienza la Libia, c’è da chiedersi cosa stia avvenendo lì.


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A metà maggio milizie di ribelli dell’ex generale Khalifa Haftar, che combattono gruppi di islamisti diffusi nel Paese, hanno occupato il Parlamento di Tripoli. Nuri Abu Sahmain, presidente dell’organo legislativo, ha dichiarato da un luogo protetto che i deputati continuano a riunirsi, mentre il capo della polizia e portavoce di Haftar, Mukhtar Fernana, ha affermato l’opposto e – addirittura – ne ha annunciato la sostituzione. Il dopo Gheddafi si è trasformato in una guerra per bande. Chi urla che bisognerebbe tornare agli accordi bilaterali, al fine di fermare gli sbarchi di immigrati dai porti di provenienza, semplicemente non sa quel che dice.


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Idem per quel che riguarda l’Egitto, secondo luogo di provenienza dei barconi. Solo ad inizio giugno ha giurato il nuovo presidente eletto, Abdel Fattah Al Sisi, dopo le due grandi manifestazioni del 25 gennaio 2011, contro Hosni Mubarak, e quella del 30 giugno 2013, che ha portato alla deposizione del leader dei Fratelli musulmani, Mohamed Morsi. Oltre a ciò non si dimentichi la drammatica guerra siriana che dilania quella terra da circa 3 anni nell’indifferenza generale dell’Occidente, a cui ben presto si aggiungerà l’emergenza dei profughi provenienti dall’Iraq, dove milizie del sedicente Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) stanno facendo traballare il governo del dopo-Saddam.

Se uno poi volesse essere particolarmente malizioso, a questo punto aprirebbe una parentesi e ricorderebbe a Majorino e alla giunta Pisapia che da 3 anni legittimano quale interlocutore unico del mondo musulmano milanese il Caim, che intrattiene documentati rapporti proprio con fiancheggiatori dell’Isil (leggasi il predicatore di origini italiane Musa Cerantonio). Ma questa, per l’appunto, sarebbe una parentesi maliziosa. Limitandoci al tema in oggetto, lo scenario drammatico succitato dice una cosa molto semplice: siamo di fronte ad un evento epocale per quel che riguarda il mondo arabo e nord-africano. Pensare di affrontarlo con vecchi strumenti e sterili polemiche è da folli.

Soprattutto non vale nemmeno la retorica buonista tipica della sinistra meneghina, per cui coloro che accogliamo sono tutti profughi bisognosi di protezione. Durante l’ultima emergenza libica, per esempio, la Lombardia ha ospitato circa 3mila immigrati sbarcati sulle nostre coste. Solo 63 di questi sono stati dichiarati rifugiati aventi diritti d’asilo, dal momento che i restanti non provenivano evidentemente da zone di conflitto e di persecuzione. Questo perché le guerre e le rivolte che avvengono sull’altro lato del Mediterraneo sono spesso prese a pretesto dalle organizzazioni criminali per la tratta di essere umani. La tanto vituperata operazione Mare Nostrum, che dovrebbe invece essere rafforzata con l’ausilio di altri paesi europei, ha portato nei primi sei mesi all’arresto di 214 scafisti. 

È del tutto evidente che anche gli stessi piani d’emergenza per l’accoglienza messi in piedi dal ministero degli Interni e coordinati con Comuni e Regioni, tra l’altro tempestivi come ammesso dal presidente dell’Anci Piero Fassino nelle dichiarazioni del 10 giugno (primo giorno in cui nelle stazioni ferroviarie milanesi giungevano inaspettati gli stranieri), rimangono inadeguati al contesto generale.

Il primo servizio che una politica che si concepisse ancora tale dovrebbe offrire sarebbe innanzitutto quello di entrare nel merito delle questioni. Magari anche riconoscendo i propri limiti e la inevitabile approssimazione delle soluzioni messe in campo. Viceversa, privilegiare il pietoso rimpallo di responsabilità da parte dei nostri amministratori locali costituisce la definitiva resa, la bandiera bianca, di fronte al tentativo di affrontare i problemi che riguardano la nostra convivenza civile.


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