Prendono sempre più piede sex dolls, giornalisti robot e cantanti morti in ologramma: la realtà dell'esperienza viene sostituita da quella virtuale
Dal giornalista robot alle sex dolls nei bordelli, ai cantanti morti che risorgono come ologrammi ai concerti. Se il giornalista robot ha un senso – terrificante – perché gli si può far dire quello che si vuole, evitando che gli scappi una propria opinione, insomma sia perfetto per fare informazione di regime, gli altri esempi superano la realtà virtuale di cui tanto si parla oggi, quella dei social per capirci. Si tratta piuttosto di cancellazione dell’esperienza. Quella cosa che rende l’uomo diverso dalla macchina, fintanto che è consapevole di fare esperienza, perché oggi assistiamo anche tra gli esseri umani a questo fenomeno. La sex doll permette di fare tutto quello che si vuole e che una donna in carne e ossa non permetterebbe; l’ologramma di un artista morto e defunto da anni ci permette di vedere una imitazione della realtà, vediamo solo quello che vorremmo vedere. Mancano il sudore, gli errori (sia nel sesso che nella musica), manca la commozione dell’artista nel vedere davanti a sé un pubblico, manca l’empatia, quello scambio di emozioni tra il cantante e lo spettatore che rende unica l’esperienza – appunto – di un concerto.
LA REALTÀ “COME” IN “BLADE RUNNER”
Ma vale anche per il sesso. Ma che importa? L’altro è solo un oggetto da manipolare per la propria soddisfazione. Ci siamo allenati per secoli per arrivare a questo, evitare la sofferenza: la bambola di plastica non ti lascia mai, il cantante morto non dovremo rimpiangerlo e il robot giornalista ci assicurerà sempre che tutto va bene. Ma resta sempre quel punticino incontrollabile, quel buchetto nel cuore, quello svolazzo dell’anima che ci ha permesso di restare uomini, nonostante tutto. Fino ad adesso, ma domani non sarà più così. Faremo fatica a identificare l’essere umano da quello finto, esattamente come succedeva in Blade Runner. Dove anche gli esseri finti desideravano diventare uomini, perché avevano una immensa nostalgia di qualcosa che non riuscivano neanche a definire. Quell’impronta che ci è stata messa dentro prima ancora che fossimo una idea nella mente dei nostri genitori.
