Crisi di governo alla prova del Sud

L’Italia va verso le urne, ad un solo anno e poco più di distanza dalle ultime politiche. Ecco la posta in palio per la sinistra

Salvini alla fine ha preferito correre qualche rischio ma non deludere i suoi, e ha offerto loro – come in altri tempi si faceva dopo una guerra vinta – un ricco bottino da spartirsi. Pochi numeri possono rendere sufficientemente chiaro di che si tratta. Con la percentuale di voti raccolta alle europee, di 4-6 punti inferiore al gradimento assegnato oggi da quasi tutti i sondaggi, la Lega da sola può arrivare al 54% dei seggi, facendo, come si dice, “cappotto” in tutti i collegi uninominali. Significa triplicare l’attuale numero degli eletti. A questo risultato corrisponde un rimborso elettorale di circa 140 milioni, che consentirebbe non solo di saldare il vecchio debito di 49 milioni in un’unica soluzione, ma di sbaragliare gli avversari per molti anni. Senza contare la quantità di posti di governo e di sottogoverno di cui le sue schiere già sentono il profumo.

Salvini non aveva dunque altra scelta e si può ragionevolmente pensare che la decisone di passare all’azione in piena estate sia stata una mossa calcolata da tempo: troppo ghiotta l’occasione di colpire gli avversari nel pieno della pausa estiva, quando tutti avevano tirato un respiro di sollievo per aver evitato lo scontro elettorale.

Detto ciò, è meglio dare per scontato che nessuno dei protagonisti ha la forza di impedire che si arrivi al voto entro ottobre, per cui è più utile chiedersi ed immaginare di cosa parleremo nei prossimi due mesi di campagna elettorale.

In questo senso non è difficile prevedere che lo scontro tra i due ex partner di governo sarà particolarmente violento e si toccheranno punte di asprezza sconosciute. In questi mesi trascorsi insieme al governo non hanno fatto altro che litigare, immaginate ora cosa sarà il confronto in campagna elettorale. Fino ad oggi abbiamo interpretato questo modo di procedere come una scelta destinata ad occupare ogni spazio comunicativo a disposizione, adesso lo scontro tra ex alleati avrà come obiettivo quello di polarizzare il voto degli elettori. Per questo scopo si rivelerà molto utile la pessima legge elettorale con cui si è votato 4 marzo 2018 e con cui il Pd e Forza Italia si sono suicidati. Nei collegi incerti il voto peserà due volte e sarà prevalente la scelta del voto utile sui potenziali vincitori.

Le stesse questioni programmatiche irrisolte diventeranno altrettanti temi da agitare come motivi della rottura. La riforma della giustizia, l’autonomia del Nord, lo sblocco di opere controverse segneranno il campo dei due concorrenti senza lasciare molto spazio agli altri partecipanti. Da questo punto di vista è abbastanza semplice prevedere che i temi su cui si è litigato in questi mesi rappresenteranno la base di due piattaforme elettorali contrapposte. Questa polarizzazione metterà in difficolta chi – come il Pd – ha una posizione di “mezzo”, rendendo molto scomodo in una campagna elettorale dover spiegare posizioni più articolate. Il principale pericolo per il Pd è esattamente questo, assistere ad un ritorno alla bipolarizzazione da cui però risultare escluso.

Prendiamo alcuni temi che nelle ultime settimane hanno diviso la maggioranza. Dall’autonomia differenziata alla riforma della giustizia, dal Tav alla revoca della concessione autostradale ad Atlantia, lo scontro ha spinto i due ex alleati di governo a trovare nuovi alleati e come spesso accade, l’azione di governo ha contribuito a  individuare interlocutori e spinto pezzi di società a scegliere chi dei due appoggiare. In questo senso è assai emblematica la parabola del premier Conte, che da perfetto sconosciuto è oggi indicato come un potenziale nuovo leader, addirittura con un proprio bacino elettorale.

E così Salvini, se da un lato batterà in lungo e in largo il Mezzogiorno, dall’altro sarà il prescelto del Nord e dei ceti produttivi desiderosi di avere un governo amico. Così come i 5 Stelle, pur confidando su temi cari alla sinistra non liberista come la giustizia, l’ambientalismo, un ruolo maggiore dello Stato in economia, alla fine dovranno difendere la loro roccaforte nel Mezzogiorno. Ed è li che dovranno recuperare consenso e centralità, cercando di far valere le loro politiche di redistribuzione, come il reddito di cittadinanza.

Per questo penso che tra i tanti temi sul tappeto che accenderanno la campagna elettorale, il Sud e l’autonomia differenziata diventeranno via via sempre più centrali. La partita si giocherà nei collegi del Sud dove il Movimento ha perso molti voti ma non è crollato e dove Salvini, senza Forza Italia e Fratelli d’Italia, non è una forza competitiva come sembra.

Il Pd di Zingaretti ora dovrà affrontare la prova decisiva. Intanto il nuovo segretario dovrà dimostrare di non aver paura del voto, né tantomeno lasciarsi proprio ora “tirare per la giacchetta” da tutti coloro che temono il turno elettorale, a cominciare da Renzi.

Renzi è quello che più di ogni altro si è mosso convinto di avere tutto il tempo per costruire la propria rivincita. Un piede dentro e uno fuori dal Partito, i gruppi parlamentari saldamente sotto il suo controllo, la prossima Leopolda, le regionali come occasione per dimostrare l’inconsistenza dell’attuale leadership, i comitati di azione civica come base di un nuovo partito personale. Nulla ora è più servibile ai suoi fini. Non ha più il tempo per realizzare il suo programma e sa che il suo gruppo uscirà pesantemente decimato, come accadrà a Forza Italia che rischia addirittura l’estinzione se Salvini non le concede l’apparentamento.

Zingaretti non dovrà deflettere e dovrà con linearità indicare al presidente Mattarella l’unica strada possibile, quella di richiamare al voto gli italiani. Il suo obiettivo realistico è confermare il buon risultato delle europee e diventare la forza in grado di guidare la resistenza alla Lega nei collegi del Centro-Nord. In questo senso potrebbe funzionare una sorta di desistenza non dichiarata tra i collegi del Sud, dove il Pd è residuale, e quelli del Centro-Nord dove i 5 Stelle non hanno alcuna possibilità di incidere. Zingaretti deve affrontare questa prova con il piglio e la grinta del playmaker, non con l’ego da leader-pigliatutto: come alle europee deve consentire al vasto campo della sinistra democratica, socialista e liberale, cattolica e ambientalista, di aggregarsi e sentirsi a proprio agio in una alleanza a guida Pd.

Sala, Calenda, Veltroni, Bonino – solo per citare le personalità di punta, ma se ne possono trovare di nuove – sono volti di uno schieramento che fa della pacatezza e della capacità di governo il proprio punto di forza. Se in questo modo si impedisce la vittoria di Salvini, sarà necessario dopo il voto un dialogo con i 5 Stelle, ma avverrà da una posizione di forza. Ma anche nel caso in cui non si riesca ad evitare una vittoria della Lega, dopo sarà più facile lavorare per aggregare un vasto schieramento alternativo al sovranismo salviniano.

È un passaggio stretto e vi sono pericoli da sventare, ma è l’unico modo per il Pd di ritornare a guardare al futuro e riconquistare un ruolo di forza-guida nel Paese.


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