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Home » Esteri » CAOS MIGRANTI/ Perché il regolamento di Dublino non funziona

  • Esteri

CAOS MIGRANTI/ Perché il regolamento di Dublino non funziona

Rita Marino
Pubblicato 2 Settembre 2019
(LaPresse)

(LaPresse)

Sull'accoglienza ai migranti l'Europa è tutt'altro che unita. Anzi, ciascuno procede per conto proprio. E l'Italia è stata lasciata troppe volte da sola

L’Ue è unita solo nella sua denominazione: si potrebbe scrivere un libro su tutti i confronti e scontri verbali tra i vari governi europei in materia di politica migratoria, sono stati quasi sempre inconcludenti. Oggi chiunque, giornalista, studente o semplice cittadino che voglia documentarsi in materia di immigrazione si trova davanti princìpi, leggi nazionali, regolamenti europei tra loro in cortocircuito, la cui disarmonia nuoce solo all’uomo.


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Già abbiamo avuto le pance piene dell’approvato decreto Sicurezza bis, delle critiche alle quali è stato esposto e della violazione già subita con il caso Carola Rackete. Non ci si sofferma invece su come ancora una volta la questione accoglienza-migranti sia infinita, come il mare in cui si perdono le loro anime.


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Si è purtroppo tradotta in legge una solitudine nazionale. L’Italia, nella gestione dei flussi migratori, è stata troppe volte sola e la colpa è da attribuire a “mamma Europa”, la quale, giacendo nel suo immobilismo legislativo, permette ai vari Stati membri di litigare su come sballottare i migranti da uno Stato all’altro come se fossero palline da ping pong.

Probabilmente potremmo dormire sonni tranquilli con la nuova arrivata: Ursula von der Leyen, neopresidente della Commissione europea. Medico, donna politica attiva (già ministra della Difesa con il Governo Merkel), con austera pacatezza ha trattato, innanzi all’Europarlamento, varie tematiche da affrontare a livello comunitario, tra cui spicca anche l’immigrazione. “In mare c’è l’obbligo di salvare le vite”, queste le sue parole applaudite che potrebbero anticipare un nuovo Patto su migrazione e asilo potenzialmente idoneo a ridurre i tanti divari europei in materia di politica migratoria. Sarà la volta buona? Siamo positivi, auspichiamo un futuro migliore ma, per il momento, ci teniamo la nostra bella Europa, fatta di non poche contraddizioni normative.


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La prima contraddizione risiede nella contestuale vigenza del principio di solidarietà, equa ripartizione della responsabilità fra gli Stati europei in materia di politica migratoria (articolo 80 TFUE) e del regolamento di Dublino. Con i primi due, dovrebbe attuarsi un coordinamento costante tra gli Stati nella gestione dei flussi migratori; con il regolamento sono disciplinati e gerarchizzati i criteri tramite i quali è designato un solo Stato membro competente per l’esame delle domande d’asilo. In base a detto regolamento:

– gli Stati devono stabilire quale sia quello competente attraverso una procedura di determinazione;

– entrano in gioco i criteri. Ce ne sono vari, a partire dal ricongiungimento familiare (richiedente che abbia già parenti in uno Stato membro) fino all’ingresso e soggiorno (articoli 13-14-15 del regolamento di Dublino). Se fra i tanti non sia applicabile neanche uno è sempre competente lo Stato che per primo abbia avviato la procedura di determinazione. Dunque, Paesi come l’Italia, caratterizzati da una molteplicità di sbarchi (l’Italia negli ultimi due anni ha registrato 93.333 arrivi nel 2017 e 17.838 nel 2018, in base ai dati riportati sul sito del ministero degli Interni) potrebbero risultare più svantaggiati nella gestione interna del fenomeno immigrazione.

A ciò poi si aggiunge anche la clausola di discrezionalità con cui gli Stati possono, ma non devono, farsi carico dei richiedenti asilo di altro. Così si creano i sovraccarichi, questi causano l’ingestibilità, l’ingestibilità determina il caos ideologico, il caos ideologico la sconfitta dell’uomo moderno.

Tutti gli Stati europei sono colpevoli. Nella regolamentazione dell’immigrazione sono paragonabili a quei figli adolescenti che si incolpano reciprocamente per farsi belli agli occhi dei genitori, ma nessuno è uno stinco di santo.

La Francia ne è un esempio: ha cavalcato l’onda mediatica del caso Rackete; il Comune di Parigi, addirittura, ha manifestato l’intenzione di premiare Carola (che ha rifiutato) per la sua “resistenza” e per aver “protetto” i diritti umani. Tuttavia, non dimentichiamo che chi vuole celebrare le gesta della Capitana tedesca è la capitale di quello Stato che nel 2018 accusò di violazione delle leggi sull’immigrazione una guida alpina, “colpevole” di aver aiutato una migrante incinta a varcare il territorio nazionale, affinché partorisse dignitosamente in un ospedale. La Francia fa la ramanzina all’Italia (si considerino le parole della portavoce del governo francese: “L’Italia non è un Paese indegno, ma il comportamento del ministro Salvini non è accettabile”), intanto ha ridotto i termini per la proponibilità della richiesta d’asilo.

Ebbene sì, siamo nell’Europa inumana, quella fatta della politica dei salotti televisivi, di principi formalizzati solo per bellezza; quella che vanta l’universalità dei propri diritti, ma poi propende per i nazionalismi. Forse, tra i vari, abbiamo dimenticato di codificarne uno, il più importante: il diritto dell’uomo alla felicità.


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