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Home » Cultura » GUARESCHI/ Prendere in prestito la realtà e farne una fiaba “più vera”

  • Cultura

GUARESCHI/ Prendere in prestito la realtà e farne una fiaba “più vera”

Egidio Bandini
Pubblicato 2 Ottobre 2019
giovannino_guareschi_web

Giovannino Guareschi (1908-1968)

La casa editrice ReNoir ha lanciato “La famiglia Guareschi a fumetti”. Giovannino non ebbe bisogno di inventare, gli bastò guardarsi intorno

“Un povero scribacchino s’arrabatta per creare dei personaggi da usare nelle sue storie ed ecco che, quando li ha trovati, questi personaggi a uno a uno lo abbandonano. Io ne avevo trovati sei: don Camillo e Peppone per le storie, diciamo, esterne, tipo esportazione. Albertino, la Pasionaria, Margherita e il cane Amleto per le storie interne, tipo famiglia. Amleto è stato il primo a lasciarmi: in modo banale, finendo i suoi giorni sotto un autocarro. Il secondo è stato Albertino, in modo ancora più banale, diventando, cioè, capofamiglia. Adesso anche la Pasionaria ha abbandonato la mia piccola azienda passando dal settore letterario al settore lattiero-caseario. Dite che la colpa è mia perché avrei dovuto bloccare Albertino e la Pasionaria al momento giusto non permettendo loro di invecchiare e mantenendoli sugli otto o dieci anni? In tale modo – direte sempre voi – anche Margherita sarebbe rimasta automaticamente giovane. In verità non era una cosa difficile, perché i personaggi d’uno scrittore non sono che burattini sempre uguali che recitano commedie sempre diverse. D’accordo. Ma era difficile, se non impossibile, mantenere giovane il burattinaio. Così i miei personaggi sono invecchiati assieme a me e non mi restano che don Camillo e Peppone i quali, datisi al cinema, cercano ancora di essere se stessi, ma faticano maledettamente perché la situazione è cambiata parecchio dal 1946 a oggi e, per riuscire ancora a combinare qualcosa, debbono emigrare, andando a lavorare all’estero. In Russia oggi, con don Camillo travestito da compagno. Forse in America, domani, ammesso che Peppone riesca a entrare in America travestito da prete e riesca a risolvere la faccenda dei baffi”.


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Così scriveva Giovannino Guareschi su Oggi n° 25 del 1965, parlando di come erano cambiati e stavano cambiando gli interpreti delle sue “favole” familiari e di come, conseguentemente, cambiavano pure le storie stesse. Non cambiava, però, la motivazione di fondo dei racconti domestici di Giovannino: “Perché io vi parlo sempre di me e della gente di casa mia? Per parlarvi di voi e della gente di casa vostra”.


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Ecco il segreto, tutto sommato facilmente comprensibile, dello straordinario successo che hanno avuto sui giornali e nei volumi e che continuano ad avere, le storie di famiglia scritte da Guareschi: racconti semplici, delle vicende di ogni giorno, che dimostrano come sia facile parlare al cuore della gente, anche solo raccontando ciò che accade fra le mura domestiche, in quel piccolo mondo che è la famiglia di ognuno di noi.

E proprio come nel Mondo piccolo di Peppone e don Camillo, Giovannino prende a prestito la realtà e ne fa una fiaba, stavolta senza neppure prendersi la briga di creare i personaggi, solo e semplicemente usando il materiale umano che aveva in casa: dapprima egli stesso e Margherita (al secolo Ennia Pallini, la compagna di una vita), quindi Albertino, il primogenito e Carlotta “La Pasionaria”, nata due mesi dopo che Guareschi era stato rinchiuso nei Lager nazisti. Oggi la casa editrice ReNoir di Milano, che pubblica i volumi del Don Camillo a fumetti, lancia anche La famiglia Guareschi a fumetti, con un’antologia dei racconti scritti da Giovannino nella sua serie più longeva, dal 1939 fino al ’68: quasi trent’anni. E se nei primissimi racconti i protagonisti sono Margherita e Giovannino, alla scoperta di Milano, in pochi anni si aggiungerà Albertino e, quindi, la Pasionaria, con il cane Amleto (che si chiamava Amleto, come l’oste milanese che lo aveva regalato a Guareschi) e il gatto Zanzi.


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Poi, con il passare degli anni, crescendo i figli e passando entrambi, come scrive Giovannino, ad altri “settori”, quali il ruolo di capofamiglia e l’attività lattiero-casearia, arrivano altri interpreti: oltre la notissima famiglia di Giovannino, incontriamo così la “colfam” Giò, Michelone, “La Fenomena” e la “Vice Fenomena”, primi nipoti di Guareschi, inseriti a pieno titolo nelle ultime storie familiari, quelle uscite su Oggi, sotto il titolo Telecorrierino delle famiglie.

Ma, come ho detto, i racconti familiari di Giovannino partono da lontano: era il 1939 quando Guareschi ebbe l’idea di pubblicare sul Bertoldo la prima puntata delle “Osservazioni di uno qualunque”, prodromo al volume La scoperta di Milano che uscirà due anni dopo. Passata le bufera della seconda guerra mondiale, Guareschi al Candido riprenderà le “Osservazioni”, aggiungendo solo come sottotitolo: “Premiata rubrica fondata nel 1939”, cui seguirà il celeberrimo Corrierino delle famiglie, che diventerà un volume nel 1954, facendo seguito al grande successo di Lo Zibaldino, uscito nel 1948.

Protagonista di tutte queste favole vere è quindi proprio la famiglia Guareschi, una famiglia che Giovannino descriveva così: “Ho una motocicletta di 65 centimetri cubi di cilindrata, un’automobile utilitaria di 500 centimetri cubi di cilindrata, una moglie e due figli di cui non sono in grado di precisare la cilindrata, ma che mi sono molto utili, perché li uso come personaggi nelle mie storie”.

E leggendo, anche a fumetti, le storie della famiglia Guareschi, ci si convince ancora di più che questi personaggi siamo un po’ anche noi, con le nostre eterne fantasie, le nostre piccole o grandi gioie e i nostri grandi o piccoli dolori; i nostri sogni e le nostre delusioni, i nostri successi e le nostre sconfitte, i nostri sorrisi e le nostre lacrime, i nostri infiniti dubbi e le nostre poche, ma solidissime certezze. Ce lo dice lo stesso Giovannino: “Ecco, se io ho un cruccio, me ne libero confidandolo al Corrierino. E quelli, fra i 24 lettori del Corrierino (destinati a diventare, negli anni, 23 ndr) che hanno un cruccio del genere, trovandolo raccontato per filo e per segno, si sentono come liberati. Infatti quel cruccio da problema strettamente personale diventa un problema di categoria, e allora è tutta un’altra cosa”.


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