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Home » Economia e Finanza » MANOVRA/ I rinvii che mettono una data di scadenza al Governo

  • Economia e Finanza

MANOVRA/ I rinvii che mettono una data di scadenza al Governo

Sergio Luciano
Pubblicato 22 Ottobre 2019
Matteo Renzi. Sullo sfondo, Giuseppe Conte (LaPresse)

Matteo Renzi. Sullo sfondo, Giuseppe Conte (LaPresse)

Il Governo appare debole come la manovra che ha approvato. A giugno Renzi, ottenuto quel che vuole, potrà staccare la spina

Una grande giornata per Matteo Salvini, quella di ieri. Le irrimediabili incompatibilità tra le due principali forze di governo, Cinquestelle e Pd, e il cinismo con cui il nuovo Ghino di Tacco Matteo Renzi condiziona l’esecutivo sono emerse immediatamente. Oscenamente, si potrebbe dire. Tutta acqua al mulino della “Coalizione degli italiani”, come l’ha ribattezzata il Capitano dopo la manifestazione di Piazza San Giovanni.


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Ecco a voi la dimostrazione plastica di cosa significava quella locuzione, “salvo intese”, con cui la manovra era stata approvata. Il Sussidiario lo scrisse subito: “Mai era accaduto che neanche dopo sei ore di confronto in Consiglio dei ministri il documento che l’Italia è obbligata a inviare alla Commissione europea fosse approvato senza un’intesa stabile tra le forze politiche che appoggiano l’esecutivo. Tutto è ancora reversibile tra ministri e partiti, quindi, prima che in Parlamento se ne possa discutere formalmente e a seconda delle infinite tensioni e negoziazioni che intercorrono tra Cinquestelle, Pd e renziani, con patetica partecipazione di Leu”.


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Il premier Conte Continua a mediare, e continua a farlo con decoroso ma crescente impegno, visto che per la prima volta la sua vicinanza ai Cinquestelle è stata vista diminuire, con gli attriti che l’hanno allontanato da Di Maio.

Due righe per riepilogare i poveri fatti concreti emersi ieri. Il tetto all’uso del contante scenderà da 3000 a 2000 euro, ma non subito: dal primo luglio prossimo. Ridicolo: o si fa o non si fa. Le sanzioni ai commercianti privi di Pos e il connesso sistema incentivante per chi invece li usa, slitterà a loro volta di sei mesi. Pietoso. Carcere ai grandi evasori: sì, ma la norma esce da palazzo Chigi incompleta, per sottolineare che dovrà essere discussa in Parlamento.


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Quindi, la parola chiave del pateracchio emerge distintamente: rinvio a giugno. Attenzione: non è casuale. Entro maggio si fanno le nomine. Renzi in quel momento incasserà quel che gli interessa davvero – potere, potere, potere – condizionando il suo sostegno al Governo all’imposizione dei suoi fedelissimi al vertice delle aziende pubbliche più importanti del Paese e poi da quel momento, in ogni momento, se lo riterrà, potrà staccare la spina a questo governicchio. Non ha a cuore null’altro che questo. Come sempre, del resto. Quindi facce feroci e dichiarazioni stroncanti per nulla. Solo l’immagine di un assoluto scollamento di identità e intenti.

Politicamente emergono alcuni tratti chiari. La debolezza di Conte, a dispetto del consenso personale di cui godrebbe. L’inconsistenza del Pd, a dispetto del suo ruolo di co-equipier principale dei Cinquestelle. La spregiudicatezza politica di Luigi Di Maio, capace di giri di valzer non meno sorprendenti di quelli di Matteo Renzi. E di nuovo l’assoluta inaffidabilità di quest’ultimo. Il tutto per proteggere deformandola una manovra debole, priva di fusione, opportunistica, di piccolo cabotaggio, buona per l’Europa solo nella misura in cui rispetta i tetti dei parametri ma senza trasmettere quella sensazione di stabilità per la quale Bruxelles aveva manifestato il suo iniziale sostegno al nuovo esecutivo anti-salviniano.

L’accordo raggiunto ieri sera/notte tra Conte e i suoi principali “azionisti” dovrà adesso trasformarsi in altrettanti emendamenti alle Camere, dove quindi l’esecutivo continuerà a ballare e la Lega a godere.


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